Lo scorso 26 novembre, con un breve comunicato, l’agenzia statale bielorussa BelTA ha reso nota l’improvvisa morte dell’allora ministro degli Esteri bielorusso Vladimir Vladzimiravič Makej, deceduto all’età di 64 anni. Prima delle proteste del 2020, Makej era stato tra i promotori di un miglioramento delle relazioni del Paese con l’Occidente e la morte improvvisa ha destato sospetti. A seguito della sua morte, Sergej Alejnik è stato nominato nuovo ministro degli Affari Esteri della Bielorussia.
Vladimir Makej, classe 1958, nato nella regione occidentale di Grodno, ha studiato a Minsk e in Austria, prima di prestato servizio nelle forze armate sovietiche e poi bielorusse, entrando in seguito in politica. Ha ricoperto incarichi di alto livello in Bielorussia per oltre 15 anni, diventando uno dei funzionari più vicini a Lukašenko. È stato rappresentante della Bielorussia presso il Consiglio d’Europa e consigliere dell’Ambasciata bielorussa in Francia nel 1996-1999. Assistente del Presidente della Bielorussia dal 2000 al 2008 e capo dell’amministrazione del Presidente dal 2008 al 2012, Makej ricopriva il ruolo di ministro degli Affari Esteri della Bielorussia dal 22 agosto 2012. Era uno dei possibili nomi che si vociferava avrebbe potuto succedere a Lukašenko.
Makej è diventato ministro degli Esteri in un momento in cui le relazioni tra la Bielorussia e l’Unione Europea erano in profonda crisi, a seguito delle elezioni presidenziali truccate del 2010 e delle sanzioni che l’Unione Europea (UE) ha successivamente imposto alle autorità bielorusse per le violazioni dei diritti umani, tra cui lo stesso ministro. Tuttavia, solo due anni e mezzo dopo, il Presidente Lukašenko accoglieva la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese François Hollande a Minsk. Un anno dopo, l’UE revocò la maggior parte delle sanzioni. Si trattò di un indubbio successo diplomatico guidato dal ministro ora scomparso. Possiamo dire che Makej fosse il politico più “filoccidentale” dell’intero vertice del governo bielorusso. Infatti, prima delle contestate elezioni presidenziali del 2020 e della successiva repressione dei manifestanti antigovernativi, Makej era stato tra i promotori di un miglioramento delle relazioni con l’Occidente, esprimendo più volte le proprie critiche nei confronti della politica di Mosca, che la definiva “imperialistica”. Posizione però che era stata bruscamente rivista quando le manifestazioni di piazza del 2020 avevano messo in discussione la legittimità di Lukashenko, dichiarandole esplicitamente ispirate da “agenti occidentali”.
È stata proprio la sua posizione più orientata all’Occidentale che alla Russia a far nascere in alcuni il sospetto che la sua morte possa non essere stata accidentale, soprattutto in quanto non sono stati forniti dettagli sulla causa della morte. Si presume che la sua scomparsa sia vantaggiosa per Mosca, che teme un altro disgelo delle relazioni tra Bielorussia e Occidente. La sua morte è avvenuta sullo sfondo dell’imminente vertice dell’OSCE in Polonia, tenutosi nei primi dicembre, al quale avrebbe dovuto partecipare in veste ufficiale per rappresentare la Bielorussia. Alcuni ex colleghi europei di Makej hanno accennato a questo sospetto nelle loro reazioni alla morte. L’ex ambasciatore britannico a Minsk, Nigel Gould Davies, ritiene che “ci possa essere qualcosa di molto sinistro dietro la sua morte improvvisa e inspiegabile“. Il vicepresidente del blocco cristiano-democratico del Bundestag tedesco, Johann Wadephul, si chiede: “Cosa avrebbe detto sulla prossima conferenza dell’OSCE alla quale avrebbe voluto partecipare?“. Il consigliere del ministro degli Affari Interni ucraino, Anton Gerashchenko, si spinge oltre suggerendo addirittura che Makej potrebbe essere stato avvelenato, in quanto era uno dei pochi funzionari bielorussi che non era sotto l’influenza russa.
Letteralmente un giorno prima della morte improvvisa del ministro bielorusso, il Robert Lansing Institute, citando le sue fonti a Mosca, ha riferito che la Russia stesse preparando un attentato a Lukašenko per insediare al suo posto Stanislav Zas, attuale Segretario Generale dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l’alleanza militare che comprende sei Stati ex sovietici tra cui Bielorussia e Russia, che in passato ha sedato disordini civili nei Paesi membri con l’assistenza delle forze russe. Il fuoco dei sospetti è alimentato dal fatto che la propaganda di Stato ha sminuito notevolmente il significato della morte del proprio ministro degli Esteri, la cui storia sembra sia stata deliberatamente non posta in evidenza sui media statali bielorussi.
Nei giorni antecedenti alla sua morte invece, Makej aveva partecipato a una conferenza, svoltasi in Armenia, dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO). Mentre il giorno successivo alla sua morte, era in programma un incontro con il suo omologo russo Sergei Lavrov, in visita a Minsk. I due ministri degli Esteri avrebbero dovuto esaminare i progressi compiuti nell’attuazione del Programma di Azioni Coordinate nella Politica Estera degli Stati parte del Trattato sull’Istituzione dello Stato dell’Unione per il 2022-2023. Il regime di Lukašenko è strettamente allineato con Mosca, soprattutto dopo gli eventi del 2020. Recentemente la Bielorussia, che confina sia con l’Ucraina che con la Russia, è stata accusata di essere diventata uno “stato vassallo” di Mosca, attirando molte critiche per aver permesso che il territorio bielorusso fosse usato dalle truppe russe per lanciare l’invasione dell’Ucraina a febbraio e come terreno di sosta per la guerra da allora.
Proprio su questo sfondo, Sergej Fedorovič Alejnik è stato nominato Ministro degli Affari Esteri della Bielorussia il 13 dicembre scorso dallo stesso Lukašenko. Alejnik, classe 1965, è stato vicesegretario del Comitato del Komsomol ed ex militare che ha prestato servizio nelle forze armate dal 1988 al 1999, ha iniziato la carriera nel Ministero degli Esteri nel 1992. È stato rappresentante ONU e ha ricoperto la carica di primo viceministro degli Affari Esteri dal 2009 al 2013 e dal 2020 fino alla sua nomina attuale a ministro.
Il 19 dicembre scorso si è svolto a Minsk il primo incontro tra il nuovo ministro degli Esteri Alejnik e la sua controparte russa, Lavrov, che si sarebbe dovuto tenere con l’ex ministro bielorusso Makej. Nel corso della visita le parti hanno discusso questioni specifiche di attualità, esaminando in dettaglio le modalità con cui contrastare le sanzioni dell’Occidente. Sono stati toccati anche i temi della cooperazione commerciale ed economica, oltre alla realizzazione di progetti comuni. Si è inoltre ricordato come il 2022 marchi il 30° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra Bielorussia e Russia. A questo proposito, è stata sottolineata la necessità di rafforzare ulteriormente la cooperazione bielorusso-russa di fronte a una pressione esterna “senza precedenti”, nell’interesse di migliorare il benessere dei cittadini dei due Paesi.
Con la nomina di Alejnik sembra che la strada dell’alleanza tra Russia e Bielorussia continui inesorabile, in quanto come affermato dallo stesso ministro bielorusso “le priorità della politica estera bielorussa rimangono invariate”.