70 anni fa moriva Iosif Stalin. Una personalità che, a seconda della latitudine, ha ispirato e ispira sentimenti e ideali contrastanti e controversi. Se la condanna per i crimini dello stalinismo è, in larghissima parte, condivisa, più eterogenea è l’interpretazione del ruolo storico che Stalin e la sua Unione Sovietica hanno avuto e il loro valore simbolico attuale.
La figura di Stalin fino al crollo dell’URSS
A 70 anni dalla sua morte, avvenuta il 5 marzo 1953, la figura di Iosif Vissarionovič Džugašvili (meglio conosciuto come Stalin, “l’uomo d’acciaio”) risulta ancora emblematica e controversa. Alcuni storici hanno definito Stalin l’uomo più influente del Novecento, colui che “ha trovato una Russia che lavorava la terra con aratri di legno e l’ha lasciata come proprietario della bomba atomica”[1]. Nell’arco di un trentennio, sotto il suo dominio, da nazione agricola, la Russia si è trasforma in potenza globale, divenendo un Paese leader in ambito militare e industriale, andando incontro ad un notevole aumento dell’aspettativa media di vita e ad una forte urbanizzazione della società. Mentre l’immagine di Stalin in Occidente e in alcune ex-RSS è comunemente associata a quella di uno dei maggiori dittatori della storia, responsabile per le politiche repressive e per la morte di milioni di persone (in Ucraina, ad esempio, è automatica l’associazione Stalin = Holodomor, la carestia imputata alle politiche sovietiche degli anni Trenta), in Russia la memoria storica di Stalin ha visto un netto miglioramento negli ultimi anni, venendo spesso associata alla stabilità e al prestigio dell’era sovietica.
In seguito alla morte di Stalin, nel 1956 il Segretario del PCUS Nikita Chruščëv, in occasione del XX Congresso del Partito, tenne un discorso a porte chiuse “Sul culto della personalità e le sue conseguenze”. Chruščëv criticò fortemente il cesarismo di Stalin, la violenza delle “Grandi Purghe” con cui Stalin aveva prestabilito il proprio primato politico tramite l’eliminazione fisica dei dissidenti interni, e l’alleanza con Hitler tra il 1939 e il 1941; nel mentre, vennero riabilitate alcune personalità politiche eliminate nel periodo del terrore staliniano. Così facendo, Chruščëv agiva per indebolire i legami che legavano il Partito al defunto leader, liberandolo dalle ingombranti responsabilità storiche. Nel 1961 il corpo di Stalin venne prelevato dal Mausoleo di Lenin, sulla Piazza Rossa, a Mosca, per essere deposto in un ambiente più modesto, nei pressi delle mura del Cremlino. Il successivo Segretario del PCUS Leonid Bréžnev diede avvio a una graduale riabilitazione di Stalin, collegando la sua figura al sacrificio e alla vittoria della Grande Guerra Patriottica, azione perseguita anche dai conservatori Andropov e Černenko.
Michail Gorbačëv, insediatosi nel 1985, promuovendo (almeno inizialmente) lo slogan del “ritorno al leninismo“, criticò Stalin e le sue politiche repressive. Nell’ottica della glasnost’, ovvero di maggiore apertura e trasparenza in ambito statale, la critica del passato stalinista e, in minor parte, del sistema sovietico, anticipava il cambiamento istituzionale intrapreso da Gorbačëv. Con il crollo dell’URSS e l’istituzione della Federazione Russa nel 1991, la memoria storica su Stalin perse rilevanza a livello istituzionale e nell’opinione pubblica. L’assenza di una reale politica di decomunistizzazione a livello morale e legale negli anni della presidenza di Boris El’cin (1992-1999), sebbene sia stato un periodo segnato da un’ulteriore apertura degli archivi che hanno rivelato o confermato l’entità dei crimini commessi, ha tuttavia permesso all’eredità di Stalin di preservarsi.
Il valore della storia e della memoria
Complessivamente, dal 1991 (e soprattutto in epoca più recente) sono stati aperti cinque nuovi musei dedicati alla figura di Stalin, così come sono stati eretti in suo onore monumenti in diverse città russe e sono stati prodotti film e programmi televisivi che lo riguardavano. A più riprese, inoltre, media e politici locali hanno sottolineato il ruolo storico di Stalin quale difensore della Russia contro nemici interni ed esterni, liberatore dell’Europa orientale e fautore del prestigio internazionale e della prosperità della nazione. Irina Rastorgueva, giornalista e scrittrice russa, ha affermato che il riemergere di simulacri di Stalin è passato da semplici individui che esponevano busti di Stalin nei loro giardini, ai monumenti eretti dal Partito Comunista; quindi, lo stesso Stato russo ha iniziato a inaugurare nuovi monumenti di Stalin nel centro delle grandi città[2]. La mitizzazione del personaggio di Stalin ha guadagnato notevole riscontro nell’opinione pubblica russa, soprattutto negli ultimi anni. Secondo un sondaggio condotto dalla NGO russa Levada Center, nel 2021 gli intervistati che percepivano Stalin come “veliki vojd” (grande leader) è passato al 56%, dalla percentuale del 28% nel 2016[3]. Nel 2012, al termine del mandato presidenziale di Dmitry Medvedev, solo il 21% degli intervistati vedeva in Stalin un “grande leader”, percentuale ben inferiore al 29% registrato nel 1992. La popolarità dello statista sovietico ha dunque ripreso ad acquisire popolarità, anche per effetto dell’annessione della Crimea.
Oggigiorno l’élite politica russa, manipolando la memoria storica sul periodo staliniano e minimizzando o ignorando i crimini del periodo sovietico, ha ripreso a concentrarsi sugli aspetti ritenuti positivi del periodo di Stalin, in particolare il suo ruolo nel condurre l’Unione Sovietica alla vittoria nella Grande Guerra Patriottica. Questa scelta sì può interpretare con il fine ultimo di promuovere in maniera non del tutto velata i propri obiettivi politici. Stalin, più che per un vero e proprio culto della sua figura (almeno per la classe dirigente, diversamente per l’opinione pubblica russa), assurge a simbolo di uno Stato centralizzato, capace di notevoli e pragmatici risultati, sia in politica domestica che internazionale. Accade così che l’eredità della Seconda guerra mondiale viene fortemente manipolata dall’élite politica russa, intesa come momento collettivo identitario dell’esperienza storica russa. La riabilitazione della sua eredità storica è fortemente correlata alla visione neoimperialista, laddove “l’uomo d’acciaio” personifica la gloria della Russia, Paese che deve necessariamente ritrovare il proprio peso in un sistema multipolare.
L’ideologia stalinista, piuttosto che sull’internazionalismo proletario propugnato da Lenin, era difatti contraddistinta da un nazionalismo russo che poggiava anche sulla mobilitazione degli eroi nazionali e degli eventi del passato. Tale visione pare essere condivisa dall’attuale dirigenza russa, che fa perno sul nazionalismo e sulla narrativa della grande nazione, in cui anche la figura di Stalin (sebbene meno celebrata rispetto ai grandi condottieri come Pietro il Grande) ha un notevole peso nel riaffermare l’idea di una Russia suprematista all’interno del consesso internazionale, nel processo di monopolizzazione della memoria individuale e collettiva. Caso emblematico della nuova narrativa storica risulta, ad esempio, la lotta propagandistica per la denazificazione dell’Ucraina, ripresa recentemente da numerosi siloviki, in cui l’effettiva collaborazione di parte degli ucraini con le forze naziste durante la Seconda guerra mondiale viene ricollegata alla figura di Stepan Bandera, e dunque “l’operazione militare speciale” assume anche una forte componente morale in cui passato e presente si intrecciano profondamente.
La riabilitazione tra storia e mito: il nation building
Vladimir Putin, sebbene non abbia risparmiato al leader sovietico critiche sui crimini commessi, come dimostra l’inaugurazione del “muro del dolore”, monumento alle vittime di persecuzione politica sotto il regime stalinista svelato nel 2017 a Mosca, in un’intervista al regista statunitense Oliver Stone nel 2017, dichiarava che “l’eccessiva demonizzazione di Stalin” da parte dell’Occidente non è altro che un modo per attaccare la Russia stessa e i suoi valori[4]. In tale ottica si può notare come la chiusura di “Memorial” (ONG attiva nel promuovere la memoria storica dei crimini e degli abusi del “Gran Terrore” e delle purghe staliniste) decretato il 28 dicembre 2021 dalla Corte Suprema russa con l’accusa di “ripetute violazioni della legge sugli agenti stranieri” risulti funzionale al monopolio della narrativa storica da parte del Cremlino.
Il fulcro della celebrazione della figura di Stalin, almeno a livello istituzionale, rimane dunque il suo ruolo nella Grande Guerra patriottica, collante della gloriosa identità nazionale, e nel prestigio che ha dato alla Russia in ambito internazionale. Nel 2020 Putin ha etichettato coloro che non sono d’accordo con la versione della storia del Cremlino come “collaboratori” occidentali, mentre il Comitato investigativo della Federazione Russa ha istituito un dipartimento per indagare sulle “falsificazioni della storia“, incluse quelle del periodo staliniano, portando alla cessazione di numerose ricerche da parte di storici sui crimini del relativo periodo. Nel 2021, è stato introdotto un decreto presidenziale che vieta di negare il “ruolo decisivo” del popolo sovietico nella vittoria sul nazismo. Nell’ottica di costruzione di una narrativa identitaria finalizzata a cementare l’attuale identità russa, non si può non riflettere alla frase dello storico marxista russo Mikhail Pokrovsky, “La storia è politica proiettata nel passato“.
Eugenio Delcroix
Riferimenti bibliografici
[1] Ironies of History. Essays on Communism, DEUTSCHER Isaac, Oxford University Press, 1966
[2] https://www.dw.com/en/why-the-cult-of-josef-stalin-is-flourishing/a-64896549
[3] https://www.levada.ru/2021/06/23/otnoshenie-k-stalinu-rossiya-i-ukraina/
[4] https://www.gazeta.ru/politics/2017/06/17_a_10721567.shtml