La scorsa settimana ha portato la Georgia al centro delle cronache internazionali: una vasta mobilitazione popolare ha riempito infatti le piazze di Tbilisi, in protesta contro l’approvazione in prima battuta del famigerato disegno di legge sugli “agenti stranieri”. Tre giorni dopo l’inizio delle proteste, a fronte del forte dissenso interno e internazionale, la maggioranza di governo ha votato contro la bozza in seconda lettura, bocciandola definitivamente. Quale significato politico hanno questi quattro giorni di tensione per il piccolo Paese del Caucaso, in bilico tra la conservazione post-sovietica e le diffuse ambizioni euro-atlantiche?
Il marzo georgiano: una breve cronaca
Se non la storia, saranno gli sviluppi dei prossimi mesi a restituire il reale impatto di questi giorni di inizio marzo sugli equilibri politici della Georgia e del Caucaso post-sovietico. Una crisi che fortunatamente è rientrata con tempi relativamente rapidi e senza l’esplosione di tensioni politiche in un Paese spesso descritto dagli osservatori come pericolosamente polarizzato. Una normalizzazione che è passata dal rilascio dei 133 dimostranti arrestati durante le proteste, ma che difficilmente ricompone le fratture segnate dalla dura repressione delle forze di polizia durante le notti del 7 e dell’8 marzo 2023 verso la popolazione che protestava in nome dell’europeismo e della democrazia liberale.
Il disegno di legge “Sulla trasparenza delle influenze straniere” è stato presentato per la discussione parlamentare il 14 febbraio 2023 dal partito “Potere del Popolo”, costola della formazione Sogno Georgiano, primo partito di governo e membro della stessa maggioranza. Potere del Popolo nacque il 2 agosto 2022 con l’intento di impedire il coinvolgimento della Georgia nella guerra russo-ucraina, ed è considerato da alcuni analisti come una formazione satellite di Sogno Georgiano, volta ad esprimere apertamente le posizioni filorusse della maggioranza senza compromettere la credibilità del partito, in un Paese dove il sentimento antirusso e le aspirazioni europee sembrano essere l’unico tema che unisce larghissime fasce della popolazione.
La proposta ha fatto discutere per mesi, già dal primo annuncio in dicembre 2022, e la decisione di anticipare al 7 marzo, due giorni prima la data prevista, la discussione in parlamento ha provocato la risposta di opposizione e società civile. Percepito come un tentativo di evitare una reale discussione sul merito, questo acceleramento ha portato a riunirsi spontaneamente davanti al parlamento di Tbilisi migliaia di persone, un movimento di piazza sintetizzato dai media internazionali con l’immagine di una manifestante georgiana colpita da un idrante della polizia mentre sventola una bandiera dell’Unione Europea. Nella giornata successiva, lo scenario si è ripetuto, con alcuni attivisti che costruivano barricate nelle strade della capitale e numerosi scontri tra manifestanti e forze di polizie, le quali hanno impiegato idranti e gas lacrimogeno nel reprime le proteste. Le tensioni sono rientrate il 9 marzo, con l’annuncio da parte di Sogno Georgiano del ritiro incondizionato del disegno di legge, confermato dal voto parlamentare di venerdì 10 marzo.
Che cos’è la “legge russa”?
A fianco alle bandiere georgiane, quelle europee e talvolta quelle ucraine, abbiamo visto nelle foto di tutte le agenzie di stampa europee il cartello “No to Russian Law”, “No alla legge russa”. Questa denominazione presuppone che il disegno di legge in questione fosse una trasposizione di un’altra legge “sugli agenti stranieri” approvata nel 2012 nella Russia di Putin.
La bozza presentata al parlamento georgiano prevedeva infatti la classificazione di “agenti stranieri” per tutti gli individui, organizzazioni della società civile e agenzie di stampa che ricevessero finanziamenti dall’estero per più del 20%. Tale status avrebbe implicato determinati oneri nello svolgimento delle normali attività, quali la fornitura di informazioni finanziarie aggiuntive – e talvolta ripetute – rispetto a quanto richiesto dalla normativa fiscale; individui e organizzazioni sarebbero inoltre stati soggetti a indagini speciali da parte del Ministero della Giustizia. Tra le specifiche per essere attenzionati, risulta lo svolgimento di “attività politiche” in Georgia, che sarebbe bastato a identificare un soggetto come “agente straniero” che agisce “nell’interesse di forze straniere”[1].
L’obiettivo, certo non nascosto, di un simile disegno di legge è quello di ostacolare media e società civile ostili al governo. Non è la prima volta che Sogno Georgiano cede a una simile tentazione: l’arresto del giornalista televisivo di opposizione Nika Gvaramia, successivamente rilasciato, è stato uno dei casi più eclatanti in merito, e ancora oggi si discute delle condizioni di detenzione dell’ex presidente Mikheil Saakashvili, storico leader del Paese fino al 2012, anno della prima vittoria elettorale di Sogno Georgiano, arrestato nel 2021 per abuso d’ufficio e oggi in prigione nonostante le pessime condizioni di salute che ne impongono, secondo molti osservatori, la scarcerazione.
Un Paese europeista con un governo filorusso
È difficile pensare che un Paese così massicciamente favorevole all’integrazione europea[2] possa avere eletto, in tre diverse occasioni (2012, 2016 e nelle ultime elezioni parlamentari del 2020, boicottate dall’opposizione) un partito capace di farsi portatore di istanze autoritarie e in così chiara contraddizione con i requisiti d’ingresso di Bruxelles. La spiegazione, paradossalmente, sta proprio nella forte polarizzazione politica del Paese, che non riguarda tanto il merito del collocamento internazionale della Georgia – che si vede orientata ad Occidente – ma le responsabilità politiche per la difficile situazione socioeconomica e il diffuso malfunzionamento delle istituzioni. Fu così che Saakashvili, leader simbolo della Rivoluzione delle Rose che nel 2003 segnò la rinascita democratica e atlantista del Paese, lasciò il passo nel 2012 a Bidzina Ivanishvili, miliardario che ha accumulato la propria fortuna in Russia, e al suo Sogno Georgiano, un partito che accusava Saakashvili di aver fatto troppo poco per l’integrazione europea della Georgia. Non a caso, l’attuale presidente del Paese, Salome Zourabichvili, è stata eletta nel 2018 proprio con il sostegno del partito di Ivanishvili, da cui ha successivamente preso le distanze. In occasione delle proteste di marzo, Zourabichvili si è schierata nettamente con i manifestanti, acuendo il suo distacco dall’esecutivo.
La questione europea è quindi la principale questione politica del Paese, ma non è quella a dividerlo. Il rifiuto da parte di Bruxelles di concedere a Tbilisi lo status di candidato membro, ottenuto invece da Ucraina e Moldova nel giugno 2022, si traduce secondo gli ultimi sondaggi non tanto in una retrocessione delle speranze europeiste, ma nella responsabilizzazione del governo e delle istituzioni. È proprio la diffusa sfiducia verso il sistema politico nel suo complesso il dato che emerge con più forza dalle rilevazioni. Guardato da questo punto di vista, la vera piaga della democrazia georgiana non sembra essere la polarizzazione, spauracchio utilizzato dal governo per annullare la conflittualità politica[3], ma piuttosto la distanza siderale tra una popolazione politicamente attiva e vibrante ed un sistema politico incartato nella corruzione e in giochi di potere che riflettono i tetri sviluppi dello scenario internazionale. Non sarà affatto scontato sgombrare il campo da elementi antidemocratici legati a Mosca e ricostruire un’alternativa politica credibile per un Paese sotto occupazione da parte dell’ingombrante vicino; i fatti del marzo 2023 rimangono però un altro acuto che si aggiunge a quelli ripetuti ciclicamente dal 2019, una breccia nella stasi politica georgiana per ricostruire un percorso nazionale di crescita democratica.
Paolo Bottazzi
[1] https://www.ndi.org/publications/ndi-poll-eu-remains-destination-choice-vast-majority-georgians-disenchantment
[2] https://civil.ge/archives/528914
[3]https://www.hrw.org/news/2023/03/07/georgia-foreign-agents-bill-tramples-rights