Nei giorni scorsi il Regno Unito ha annunciato l’invio all’Ucraina di proiettili a uranio impoverito. Una pessima notizia, non solo per i rischi di escalation – già in corso a tutti i livelli. Nuova puntata della rubrica di Fulvio Scaglione “Dietro lo specchio”
Ormai siamo abituati. C’è l’assedio di Mariupol’? Parte la campagna per spiegare che i militanti del Battaglione Azov sono brave persone, ottimi papà e fini intellettuali. La polizia ucraina mette agli arresti domiciliari, con tanto di braccialetto elettronico, l’anziano metropolita Pavel, priore del Monastero delle Grotte di Kiev? Ecco che ci spiegano che il religioso della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Mosca è un ghiottone godurioso e amante del lusso. Era difficile immaginare, però, che la stessa operazione sarebbe stata fatta per le munizioni a uranio impoverito che il Regno Unito ha deciso di fornire alle forze armate ucraine. Triste lo spettacolo della pletora di esperti e pseudo-esperti accorsi in tutte le televisioni a spiegare che l’arrivo al fronte di questi proiettili non è un’escalation nel conflitto. Penoso l’argomento successivo: sono stati usati già nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq, in Libia… Come dire: tutto bene, che volete?
In primo luogo: il problema non è se la fornitura di proiettili a uranio impoverito rappresenti o no un’escalation. L’intero conflitto lo è. Da una guerra a intensità relativamente bassa nel Donbass (comunque con 14mila morti) siamo passati all’invasione russa dell’Ucraina. Dal ridotto contingente russo dei primi mesi siamo passati alla mobilitazione di 300mila riservisti. Dalle armi di contenimento inizialmente fornite all’Ucraina dai Paesi occidentali siamo arrivati ai missili a lungo raggio, ai carri armati e prossimamente ai caccia. In assenza di una seria iniziativa diplomatica, questa guerra non poteva che allargarsi e crescere. Cosa che è puntualmente avvenuta. I proiettili all’uranio impoverito sono solo la tappa più recente di questo processo, che pian piano ci avvicina allo spettro delle armi nucleari.
Il problema vero sta nella seconda giustificazione che è stata fatta risuonare. I proiettili DU (Depleted Uranium) sono già stati usati, sono munizioni “normali”. È vero che, a dispetto degli allarmi lanciati da molte organizzazioni umanitarie e dagli stessi esperti dell’Onu, le munizioni a uranio impoverito non sono bandite da alcuna convenzione o trattato. Solo Belgio e Costa Rica le hanno vietate. A livello internazionale, il massimo che sia stato fatto è una Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu, appoggiata da 155 Stati, affinché venisse adottato “un approccio cauto” al suo impiego. Nondimeno, l’impiego di tali munizioni in nessun modo può essere considerato “normale”. E noi italiani dovremmo saperlo meglio di chiunque altro.
Nel 2019, a Torino, si tolse la vita il caporalmaggiore Luigi Sorrentino, 40 anni. Si era ammalato di leucemia, cosa che aveva sempre attribuito alle missioni affrontate in Kosovo e Afghanistan. L’autopsia rilevò tracce di uranio 238 nel suo midollo osseo. Il caso riportò alle cronache il tema dell’uranio impoverito usato in abbondanza nella guerra contro la Serbia, e delle sue conseguenze. Secondo l’Osservatorio militare, a quell’epoca già si registravano 366 decessi tra i soldati italiani e 7.500 casi di malattia. Il ministero della Difesa, quindi il governo italiano, ha sempre negato la relazione diretta tra le munizioni DU e le malattie. Ma ci sono 133 sentenze della magistratura che dicono l’esatto contrario.
Nella migliore delle ipotesi, dunque, dei proiettili a uranio impoverito (usati per il loro alto potere perforante) bisognerebbe diffidare, perché rappresentano un forte rischio sia per chi li subisce sia per chi li usa. Infatti le stesse patologie dei nostri soldati, guarda caso, si registrano presso la popolazione serba. E se li pensiamo in relazione all’Ucraina, ancor più di prima. Proprio per la seconda motivazione addotta dai nostri simpatici agit-prop bellicisti: sono già stati usati in Afghanistan, in Iraq, in Libia, nei Balcani… Vero. Ma su quei fronti li usavamo solo noi, nessuno degli avversari su quei fronti ne disponeva. E il racconto delle conseguenze è solo nostro: chi ha mai chiesto l’opinione di iracheni, afghani, libici?
La Russia, invece, dispone di un grande arsenale di proiettili DU, il secondo al mondo dopo quello Usa. Per dare un’idea: già nel 1996 nei magazzini di Mosca, per quel che si sa, ce n’erano 460mila tonnellate; il Regno Unito, che ora li vuole fornire agli ucraini, nel 2001 ne dichiarava 30mila tonnellate. Davvero qualcuno pensa che i russi, se si trovassero in difficoltà, non ricorrerebbero anche loro a quest’arma?
Immaginiamo quindi ciò che può succedere domani in Ucraina, con i due eserciti che si scambiano cannonate dall’impatto chimico potenzialmente dannoso, e soprattutto ciò che può succedere dopodomani alla popolazione ucraina, costretta a vivere in territori che a quel punto sarebbero contaminati da polveri o frammenti rilasciati dai proiettili esplosi e non.. Un’Ucraina, ricordiamolo, che a causa dell’invasione russa e del prolungamento della guerra sta già perdendo una generazione: il Times ha pubblicato un’analisi sulla sua popolazione svolta dall’Onu, con un confronto tra 2021 e 2023. Nel 2021 venivano censiti 200mila ragazzi ventenni, nel 2023 solo 70mila. Mentre il numero delle ragazze della stessa età è diminuito da 200 a 50mila.
Ma c’è di più. Che cosa potrebbe succedere alla già disastrata economia ucraina se i russi, per rappresaglia, cominciassero ad utilizzare enormi volumi di proiettili all’uranio impoverito, lasciandone i resti concentrati nei terreni agricoli? Coldiretti ci dice che l’Ucraina, ancora oggi, rappresenta il 10% del commercio mondiale di frumento tenero e il 46% del mais per l’alimentazione animale. Quelli che l’uranio impoverito è una buona cosa, mangerebbero un piatto di spaghetti fatti con il grano ucraino o la bistecca di un manzo cresciuto a mais ucraino?
Fulvio Scaglione