L’invasione russa ai danni dell’Ucraina ha sconvolto le dinamiche commerciali e logistiche in Europa, costringendo gli storici partner economici della Russia a fare a meno del suo mercato. Quella tra Lettonia e Kazakistan è l’alleanza che non ti aspetti, figlia della geopolitica e delle sue concrete conseguenze.
Lettonia e Kazakistan facevano parte dell’URSS e, da Stati indipendenti, continuano a confinare con la Federazione Russa. Tuttavia, tra i due Paesi ci sono più differenze che somiglianze. Il Kazakistan è il nono Stato al mondo per estensione geografica, la Lettonia, molto più modesta, occupa la posizione numero 124. La Lettonia è verde, pianeggiante, aperta al Mar Baltico, il Kazakistan è un susseguirsi di altipiani, steppe e persino montagne, con una minima porzione di coste affacciate sul Mar Caspio. L’elenco potrebbe proseguire a lungo.
Una similarità importante però c’è. Entrambi i paesi annoveravano la Russia tra i principali partner commerciali, ma a seguito dell’invasione dell’Ucraina hanno dovuto adattarsi e fare a meno dei mercati russo e bielorusso in numerosi settori più o meno strategici dell’economia, progressivamente impattati dalle sanzioni. Ovviamente, ampliando lo sguardo, le sanzioni promulgate dall’Occidente, Stati Uniti in primis, hanno innescato forti ripercussioni per tutti gli Stati che intrattengano relazioni economiche con la Russia, ma chi aveva legami storici con Mosca ne ha sofferto particolarmente.
Una delle conseguenze immediate della guerra in Ucraina è stata, tra le tante, la chiusura delle filiali sul territorio russo da parte delle multinazionali straniere già dall’estate 2022. In questo caso, le compagnie che già disponevano di filiali o uffici in Asia centrale hanno potuto garantirsi una relativa continuità di business nell’area (sempre escludendo il mercato russo per quanto contrassegnato dalle sanzioni, ovviamente), mentre la grande maggioranza delle aziende, abituate a raggiungere i mercati degli -Stan tramite filiali o consociate sul territorio russo, ha dovuto valutare altre opzioni. Molte hanno aperto nuove sedi direttamente nei Paesi CIS, altre si sono appoggiate a partner commerciali in loco, sempre con il comune denominatore di mantenere una presenza commerciale nell’area, ma in un territorio sicuro, rimanendo al riparo delle sanzioni contro la Russia.
“Kazakhstan needs us and we need Kazakhstan”
Tra questi Stati, quelli che ad oggi hanno beneficiato maggiormente di questa correzione in itinere sono Kazakistan ed Uzbekistan, le due economie più sviluppate della regione, e che quindi offrono maggiori garanzie agli investitori esteri. Ad Astana in particolare hanno accolto con favore la novità, anche perché l’interesse è evidentemente reciproco. Anche il Kazakistan ha la necessità di reagire agli eventi in corso, soprattutto perché il Paese è un importante hub regionale per ingenti flussi di merci che vi confluiscono per poi raggiungere gli altri Stati dell’Asia Centrale, soprattutto quelli meno sviluppati dal punto di vista commerciale e logistico.
Molte compagnie locali hanno quindi dovuto cercare nuovi fornitori, soprattutto europei, per procacciarsi le materie prime ed i prodotti che erano solite acquistare dalla Russia, e questo ha innescato, di sponda, una serie di cambiamenti politici e sociali importanti nel Paese. Per gli Stati occidentali è fondamentale che il Kazakistan mantenga una reale indipendenza dalla Russia, a discapito degli stretti legami che uniscono Mosca ed Astana, decisamente più consolidati di quelli (nettamente più recenti) con l’Europa e l’Atlantico. Il Pease ha inoltre mandato segnali confortanti all’Occidente negando l’invio di armi a supporto della Russia in Ucraina e donando invece aiuti umanitari al popolo ucraino, oltre che rifiutando di riconoscere le repubbliche indipendenti di Donetsk e Luhansk. Tutte mosse poco apprezzate da Mosca, ed è evidente che Astana non stia vivendo un periodo sereno, dal punto di vista delle relazioni diplomatiche con il Cremlino (il Kazakistan fa anche parte dell’Unione Economica Euroasiatica dal 2015, insieme a Federazione Russa, Bielorussia, Armenia e Kirghizistan, e del CSTO, il Trattato di Sicurezza Collettiva).
Riga chiama Astana
Naturalmente, chi dice “no” alla Russia guadagna il favore dei Paesi Baltici, che sono poco inclini a compromessi per quanto riguarda le relazioni diplomatiche (il caso della Lituania contro la Cina è esemplare a riguardo), e la Lettonia è stata la prima a farsi avanti. In un certo senso, i Baltici si propongono da anni per svolgere un ruolo non troppo diverso da quello del Kazakistan: per Lettonia e Lituania le attività import/export verso/da Russia e Bielorussia costituiscono una componente fondamentale della bilancia commerciale, con merci provenienti da tutta Europa che convogliano negli hub al confine con la Russia per poi proseguire oltre Schengen, soprattutto via treno, e viceversa (un tentativo simile era stato fatto anche con la Cina, con la Lituania che avrebbe dovuto diventare la porta europea per il progetto One Belt One Road, ma la realtà non si è mai rivelata all’altezza delle aspettative).
La guerra in Ucraina ha messo in ginocchio questo settore portante per le reciproche economie, e qui nasce, per affinità, la sinergia tra Astana e la Lettonia. Le infrastrutture lettoni soffrono di una grave carenza di volumi, così Riga ha proposto di iniziare a collaborare partendo dai corridoi marittimi. In febbraio, alcuni rappresentati di Kazlogistics e l’ambasciatore Timur Primbetov hanno incontrato la Latvian Stevedoring Company Association (LSA) e visitato la Zona Economica Speciale di Liepaja, ed il porto di Riga. Al centro dell’incontro, le esportazioni dal Kazakistan di minerali, ferro, fertilizzanti e cereali che potrebbero approdare in Europa dai porti lettoni, e l’export europeo destinato in Asia Centrale di turbine eoliche, macchinari, attrezzature agricole e zucchero sulla rotta opposta. Già nel 2022, il volume degli scambi tra Lettonia e Kazakistan è più che quadruplicato rispetto agli anni precedenti.
L’Europa intanto guarda con interesse questa strana coppia. L’Unione Europea lavora dal 1993 alla Commissione TRACECA, che riunisce al suo interno tutte le iniziative volte ad efficientare gli scambi commerciali tra Europa ed Asia, fornendo assistenza tecnica per implementare i collegamenti via mare, terra e ferrovia tra Europa occidentale (nettamente più sviluppata da questo punto di vista) e le regioni orientali. Il focus è indirizzato specialmente verso il Caucaso, per raggiungere proprio l’Asia Centrale. (L’estensione del progetto è ben descritta dalla mappa). Il corridoio lettone-kazako potrebbe costituire, quindi, un’inedita alternativa alle rotte già mappate da TRACECA, e a Riga si stanno fregando le mani solo a pensarci.
Aggiungi un posto a tavola
All’incontro, però, i businessmen della logistica non erano soli. Al tavolo c’era anche la USAID (US Agency for International Development), una presenza per nulla casuale (né insolita, per le aree in questione). L’interesse di Washington per il Kazakistan non è una novità, atteggiamento confermato anche dalla prima visita ufficiale del segretario di Stato Antony Blinken ad Astana i primi di marzo. In quell’occasione, Blinken ha infatti dichiarato che “la collaborazione strategica tra gli Stati Uniti e il Kazakistan sta crescendo rapidamente. Dal dicembre 1991, quando gli USA furono il primo Paese a riconoscere l’indipendenza del Kazakistan, gli Stati Uniti hanno espresso il loro impegno e supporto nei confronti della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza del Kazakistan e dei Paesi dell’intera regione”.
Blinken ha anche constatato che furono proprio i businessmen statunitensi i primi ad investire nel Paese, con oltre 50 miliardi di dollari spesi dal 1991 ad oggi, a cui si aggiungeranno presto altri 25 milioni attraverso l’Economic Resilience Initiative of Central Asian Countries (ERICEN), creata dall’amministrazione Biden-Harris nel settembre 2022 allo scopo di sostenere la crescita economica dell’Asia centrale a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Intanto, il volume degli scambi tra i due Paesi durante il 2022 ha superato i 3 miliardi di dollari, pari ad un incremento del 37,2% rispetto al 2021, e del 58,8% per quanto riguarda gli investimenti USA nel Paese.
L’amministrazione Biden ha anche ribadito il suo sostegno al programma di Tokayev per incentivare gli investimenti diretti esteri in Kazakistan: “I prossimi passi saranno la lotta alla corruzione, l’introduzione di un limite al mandato presidenziale, la tutela dei diritti umani”. Non è un caso che gli Stati Uniti intendano avere più voce in capitolo negli affari kazaki proprio in questo momento storico, segnato anche dall’imposizione delle sanzioni alla Russia. Le secondary sanctions rappresentano un pericolo reale, che Astana ha promesso di tenere a bada.