La posizione ambigua del governo turco dallo scoppio del conflitto in Ucraina ha suscitato alcuni dubbi a Occidente riguardo ai suoi legami con Mosca. Tuttavia, i rapporti tra Russia e Turchia si muovono su diverse aree di competizione e collaborazione, ognuna con le proprie sfumature.
Il 18 marzo 2023 i governi di Russia e Ucraina si sono accordati per un’ulteriore estensione dell’accordo sul grano stipulato lo scorso luglio a Istanbul, che era stato successivamente prolungato in novembre per 120 giorni. Nonostante non sia chiaro per quanto a lungo la Black Sea Grain Initiative rimarrà ancora valida – Mosca sostiene di aver approvato un’estensione di 60 giorni, mentre Kiev di 120[1] – la stipulazione stessa di questo accordo, cruciale per la salvaguardia della sicurezza alimentare, sottolinea l’entrata in gioco della Turchia, che dall’inizio del conflitto si è ritagliata un ruolo di crescente importanza come mediatrice.
Quantomeno dalla fine della Guerra Fredda, le relazioni tra Mosca e Ankara sfuggono a veloci semplificazioni. Se durante il ventesimo secolo le interazioni tra i due erano definite dalla rigidità bipolare dello scontro tra Unione Sovietica e Stati Uniti, dalla caduta del muro di Berlino Russia e Turchia hanno tessuto una complessa rete di rapporti di cooperazione e competizione in cui la parola chiave è una: compartimentalizzare.
Agli inizi del nuovo secolo, la nuova geografia della regione eurasiatica prodotta della dissoluzione dell’URSS consente ad Ankara di liberarsi del peso della condivisione di un confine con Mosca, mentre quest’ultima cerca di riaffermare la propria posizione privilegiata nel Caucaso e in Asia Centrale. Allo stesso tempo, l’Occidente inizia a guardare alla Turchia come ponte verso le repubbliche ex-sovietiche e l’area del Mar Nero. Sarebbe questo “sovraffollamento” occidentale – realizzatosi nei fatti attraverso l’estensione della membership EU e NATO verso Est – a spingere inizialmente la Turchia a valutare la possibilità di tessere rapporti di crescente collaborazione con la Russia, seppur settoriali, per evitare che il precario equilibrio regionale si incrini a causa degli sviluppi descritti.[2] È però Ankara stessa, già membro dell’Alleanza Atlantica dal 1952, a ottenere lo status di Paese candidato durante il Consiglio europeo di Helsinki del 1999, a riprova dell’importanza attribuita al framework istituzionale occidentale.
Dai primi anni Duemila – e in particolare dal 2005, quando la costruzione del gasdotto BlueStream giunge al termine – il settore dell’energia vede lo sviluppo di rapporti commerciali tendenzialmente asimmetrici tra Russia e Turchia. L’alta richiesta di combustibili fossili e la collocazione geostrategica del paese contribuiscono ad aumentare l’interesse del Cremlino verso il mercato turco. Si pensi che, nel 2021, la Russia ha coperto il 44,9% della domanda interna di gas naturale in Turchia.[3] Per di più, a causa dell’invasione dell’Ucraina il volume degli export energetici russi verso l’Unione Europea va incontro a una drastica riduzione. In questo contesto, arriva la proposta di Vladimir Putin al presidente turco Erdogan di lavorare verso la costruzione di un hub commerciale per il gas che sia in grado di interfacciarsi con il Vecchio Continente, sfruttando in parte il gasdotto TurkStream, operativo dal 2020[4]. Questa prospettiva suscita inevitabilmente perplessità sul fianco occidentale, ma la presidenza Erdogan continua a difendere dall’inizio del conflitto il proprio assetto verso la Federazione Russa – come, ad esempio, la decisione di non imporre sanzioni contro Mosca.
Tuttavia, è proprio la storia del gasdotto TurkStream a dare un’idea chiara del carattere ambivalente delle relazioni tra Russia e Turchia. Essa fa seguito al fallimento del progetto per la costruzione del gasdotto SouthStream nel 2014, ma anche la costruzione dello stesso TurkStream viene repentinamente interrotta solo un anno dopo, per riprendere nel 2016. Nel novembre 2015, infatti, un F-16 turco abbatte un caccia russo, che sostiene abbia violato il suo spazio aereo. La crisi diplomatica del 2015-16 è sintomo delle crescenti tensioni tra Mosca e Ankara, che si trovano schierate da parti opposte nel complesso teatro siriano. Le sanzioni imposte dal Cremlino costano alla Turchia più dell’1% del PIL.[5] L’anno successivo, la riconciliazione tra i due è resa possibile dalla mediazione del Kazakistan. Intanto, la Russia riesce ad approfittare del disallineamento tra Washington e Ankara sulla questione curda. Dà il proprio benestare all’offensiva turca nel Nord della Siria e successivamente sfrutta il proprio riavvicinamento alla Turchia per costruirsi un’immagine da pacificatrice[6], per esempio attraverso il processo di Astana, promosso insieme a Ankara e Teheran. In Siria, la Turchia oscilla quindi tra Mosca e la NATO, avendo come unico obiettivo l’immediata promozione e salvaguardia del proprio interesse nazionale.
Questo schema si è sostanzialmente ripetuto dallo scoppio del conflitto in Ucraina. In questo contesto, sia la Russia sia la Turchia hanno cercato di sfruttare la controparte per migliorare la propria posizione a livello internazionale. Da una parte, Ankara è stata individuata, insieme alla Cina, come potenziale mediatrice. Pechino possiede tutte le carte per condurre una negoziazione credibile con Mosca – ossia la possibilità di imporre costi significativi sull’amministrazione Putin – ma resta un interrogativo per l’Occidente. Ankara è in grado di sfruttare la sua tradizionale ambivalenza tra Est e Ovest per avvicinarsi alla Russia, restano comunque però vincolata dall’appartenenza alla NATO. Questo gioco delle parti si è tradotto in una serie di sviluppi potenzialmente contradditori, come il rifiuto di partecipare allo sforzo sanzionatorio occidentale (permettendo, fino all’inizio di marzo, alla merce sanzionata raggiungere la Russia transitando per la Turchia),[7] accompagnato dall’invio di armi in Ucraina. Ankara ha poi ratificato l’accesso della Finlandia all’Alleanza Atlantica, la quale estenderà i confini condivisi con la NATO di circa 1300 km, dopo una tortuosa negoziazione, nella quale la candidatura della Svezia resta incagliata e ancora una volta legata alla questione curda.
In secondo luogo, la continua attività di mediazione, esemplificata dal caso dell’accordo sul grano, le è valsa lustro a livello internazionale e le ha consentito di acquisire maggior peso vis-à-vis i partner occidentali, con i quali i rapporti si sono incrinati negli ultimi anni, visti anche gli sviluppi di politica interna. D’altro canto, la partecipazione stessa della Russia a incontri bilaterali e trilaterali vuole segnalare, dal punto di vista del Cremlino, la disponibilità a discutere con i giusti interlocutori, e possibilmente incrinare la coesione del fronte occidentale.[8] Senza contare che Mosca ha trovato in Turchia uno spazio di manovra per ammortizzare i costi economici derivati dalla situazione attuale. Nonostante ciò, rimangono aree di evidente criticità nei rapporti tra Russia e Turchia. L’avanzamento della Federazione Russia nella regione del Mar Nero dal 2014 e le tensioni tra Armenia e Azerbaijan, dove ancora una volta Mosca e Ankara si posizionano su fronti opposti, potrebbero alterare la percezione del rischio del governo turco e spingerlo verso Occidente. D’altra parte, il Cremlino è in grado di esercitare pressione sulla Turchia attraverso la propria azione nel comune vicinato, e facendo leva su temi legati alla sicurezza energetica del paese
Riferimenti bibliografici
[1] https://www.aljazeera.com/news/2023/3/18/russia-ukraine-black-sea-grain-deal-extended-un-turkey
[2] Aydın, M. (2020). The Long View on Turkish-Russian Rivalry and Cooperation. German Marshall Fund of the United States. http://www.jstor.org/stable/resrep25035
[3] https://www.atlanticcouncil.org/blogs/turkeysource/turkey-can-become-an-energy-hub-but-not-by-going-all-in-on-russian-gas/
[4] https://www.dw.com/en/vladimir-putin-proposes-gas-hub-plan-to-turkeys-erdogan/a-63429650
[5] Bechev, D., Barnes-Dacey, J., Borisov, T., Frolovskiy, D., Gaub, F., Ghanem-Yazbeck, D., Katz, M. N., Kuznetsov, V., Lavrov, A., Nakhle, C., & Trenin, D. (2018). Russia and Turkey: the promise and the limits of partnership. In N. Popescu & S. Secrieru (Eds.), RUSSIA’S RETURN TO THE MIDDLE EAST: BUILDING SANDCASTLES? (pp. 95–102). European Union Institute for Security Studies (EUISS). http://www.jstor.org/stable/resrep21138.14
[6] Ibid.
[7] https://www.euractiv.com/section/global-europe/news/turkey-halts-transit-of-sanctioned-goods-to-russia/
[8] Galip Dalay, Deciphering Turkey’s Geopolitical Balancing and Anti-Westernism in Its Relations with Russia, SWP COMMENT – NO.35 MAY 2022.