Con la crescita dell’attenzione e degli aiuti internazionali, Kiev non può più rinviare gli sforzi contro il dilagare della corruzione interna. Che non ha smesso di manifestarsi nemmeno nei momenti più drammatici della guerra.
L’eredità dell’URSS
Che “tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri” lo scriveva già Orwell quasi cent’anni fa per raccontare l’Unione Sovietica, offrendo una descrizione profetica e drammaticamente attuale di una delle piaghe lasciate in eredità dall’URSS agli ex Paesi satellite: il fenomeno della corruzione.
Secondo uno studio condotto da due ricercatori della North Kentucky University, la corruzione endemica che ostacola la completa transizione democratica di quattro Paesi dell’Est Europa – Bielorussia, Ucraina, Moldavia e Georgia – è la naturale prosecuzione di quel sistema di logiche clientelari sviluppatosi all’interno dell’Unione Sovietica e alimentato da una rete di rapporti informali apparentemente indistruttibile. Ciò è avvenuto, come spesso accade nella transizione di un autoritarismo verso l’adozione di un modello democratico, anche a causa della rapidità con cui le economie di questi Paesi sono state liberalizzate, rapidità a cui non è corrisposto un parallelo adeguamento dello scheletro istituzionale che avrebbe dovuto vigilare sull’evoluzione in atto.
Come conseguenza, la gestione del settore imprenditoriale e commerciale è rimasta nelle mani dei pochi che già detenevano una qualche forma di potere, i cosiddetti oligarchi, ostacolando la trasparenza in quasi tutti i settori istituzionali. Il caso dell’Ucraina è particolarmente interessante per il momento storico che il Paese sta attraversando, dovendo concentrare tutte le sue energie nello sforzo bellico contro la Russia, ma al contempo non potendosi permettere di sospendere la sua lotta contro la corruzione.
Piccola e grande corruzione in Ucraina
A caratterizzare l’Ucraina non è solo la “grande corruzione”, vale a dire le relazioni di potere sotterranee tra oligarchi, politici e imprenditori, bensì anche un tipo di corruzione definita “piccola”, che sarebbe forse meglio spiegata dal termine “popolare”.
Secondo un sondaggio di Transparency International, l’organizzazione non governativa che ogni anno stila un indice classificando 180 Paesi in base ai livelli di corruzione percepiti nel settore pubblico, e assegnando a ciascuno punteggio su una scala da 0 (altamente corrotto) a 100 (molto pulito), nel 2022 l’Ucraina si è attestata al 116° posto, con un punteggio pari a 33. Il punteggio di ogni Paese è una combinazione di almeno tre fonti di dati provenienti da tredici diverse indagini e valutazioni sulla corruzione, raccolte da diverse istituzioni, tra cui la Banca Mondiale e il World Economic Forum. Le indagini raccolte sull’Ucraina hanno evidenziato come sia le imprese (57% degli intervistati) che i cittadini ucraini (52% degli intervistati) ritengono il sistema giudiziario il più permeato dalla corruzione, seguito dal settore sanitario, la polizia e i procedimenti giudiziari (37%), l’economia del settore pubblico (27%), la gestione della tassazione (25%), nonché il finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali (21%).
Ma oltre che a livello istituzionale la corruzione è, come dicevamo, percepita anche a livello “popolare”, ossia endemica anche nella società, nel modo in cui i cittadini si relazionano con il settore pubblico, che sia la sanità o la polizia. In quest’ottica, entrare nel novero di quelli “più uguali di altri” elargendo mazzette e favori è ormai diventato prassi. Non sono stati pochi i tentativi, sia interni che esterni, di sradicare tali pratiche, agendo prima di tutto sulla grande corruzione attraverso riforme istituzionali mirate. Ma tali sforzi non sembrano essere stati fino ad ora sufficienti.
Fin dall’inclusione nel novero dei Paesi oggetto della Politica europea di vicinato nel 2003, un pacchetto di politiche bilaterali tra l’Unione e vari Paesi partner, che prevede iniziative di cooperazione regionale e investimenti, l’UE ha richiesto all’Ucraina di massimizzare gli sforzi in direzione di un sistema istituzionale trasparente e credibile. A tal scopo, sia il Servizio europeo per l’azione esterna che la Commissione hanno svolto attività di audit e di supporto alle istituzioni anticorruzione nate e sviluppatesi nel corso degli anni.
Internamente, questo supporto ha trovato corrispondenza in svariati tentativi di riforma istituzionale, in particolare del settore giudiziario: proprio l’attuale presidente Zelens’kyj nel 2020 proponeva una riforma anti-corruzione poi invalidata dalla Corte Costituzionale ucraina nell’ottobre dello stesso anno, dando il via ad una crisi interna risolta solo dallo spostamento di attenzione verso la minaccia esterna dell’invasione russa. Alle intricate vicende giudiziarie e politiche degli ultimi tre anni è sopravvissuto un sistema anti-corruzione creato all’indomani della rivoluzione dell’Euromaidan e composto da tre organi con competenze diverse: la NABU, Ufficio nazionale anti-corruzione dell’Ucraina, si occupa di contrasto insieme alla Procura specializzata anti-corruzione (SAPO), mentre una terza agenzia, la NACP, è dedicata alla prevenzione. Mentre i primi due organi sono indipendenti, la NAPC è un organo governativo con possibilità di legiferare.
La rivoluzione dell’Euromaidan, scoppiata nel 2013 in opposizione al ritiro del governo ucraino dalla firma dell’Association Agreement con l’Unione Europea, ha condotto alla formazione di tali agenzie proprio per permettere al Paese di accedere nuovamente a tale accordo e ai prestiti elargiti dal Fondo Monetario Internazionale. Dal 2015, anno della loro creazione, ad oggi, il lavoro di concerto delle tre agenzie e del governo ha dato vita a delle Policy anticorruzione di lungo periodo, fino ad arrivare a quella per il 2021-2025, i cui effetti sono stati particolarmente evidenti negli ultimi mesi.
Una duplice lotta
Parallelamente all’approvazione del programma anticorruzione, parte della più ampia policy sopracitata, e dedicato specificamente agli anni tra il 2023 e il 2025, Zelens’kyj ha obbligato a dimissioni forzate una serie di personalità politiche considerate intoccabili e molto vicine al governo. Scelte che hanno suscitato grande clamore, fino ad essere definite vere e proprie “purghe”, ma che di certo hanno contribuito a dimostrare che il presidente è più che mai disposto a fare sul serio.
Prima il viceministro per le infrastrutture, Vasyl Lozynsky, colpito da fermo giudiziario in flagranza di reato per la ricezione di mazzette da 350mila dollari, poi Vyacheslav Shapolavov, viceministro della difesa, costretto alle dimissioni da un’inchiesta giornalistica sull’acquisto di derrate alimentari per soldati ucraini a prezzi rialzati, per un totale di 326 milioni di dollari (il viceministro pagava tangenti su generi alimentari comprandoli a un costo maggiorato). Kyrylo Tymoshenko, coordinatore delle politiche regionali, è stato scoperto a comprare auto sportive di lusso con soldi pubblici, mentre Volodymyr Teneshchenko, vicecapo del Dipartimento di coordinamento attività economiche estere di ministero, è stato accusato di appropriazione indebita per 1,23 milioni di euro, al tempo in cui era responsabile della società statale per la difesa. Oltre a questi nomi almeno altri 15 funzionari, in maggioranza impiegati nel ministero della difesa, sono risultati coinvolti e costretti alle dimissioni.
Il programma stilato per i prossimi due anni prevede più di 1.700 misure in 15 aree politiche per ridurre il livello di corruzione e garantire integrità istituzionale, in particolare nel settore giudiziario, della difesa, della regolamentazione statale dell’economia, delle dogane e della fiscalità, della pianificazione urbana e della gestione del territorio, della gestione aziendale delle imprese statali, dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria, e della protezione sociale. Tra le priorità c’è anche quella di garantire la responsabilità per la corruzione e di aumentare l’efficacia del sistema per combatterla. Tra le misure previste nel lungo periodo, lo sviluppo di un sistema pubblico online che aiuterà tutti a monitorare i progressi dell’attuazione del documento.
La spinta alla concreta implementazione di politiche anticorruzione sopite e discusse per anni è dovuta, per quanto sembri paradossale, proprio alla guerra in corso. Se allo scoppio del conflitto i dissidi interni e la crisi derivante proprio dalle politiche promosse da Zelens’kyjsono stati messi in secondo piano dalla necessità di unità interna di fronte al nemico, la posizione di rilievo che l’Ucraina ha assunto nel panorama internazionale ha reso sempre più urgente un cambiamento istituzionale visibile.
Il lavoro strutturale sulle riforme previste è stato messo in stand-by dopo lo scoppio del conflitto, per lasciare spazio a nuove e più importati sfide globalmente riconosciute come prioritarie, quali la difesa del territorio e l’affermazione dell’autonomia del Paese rispetto all’invasore russo. Ciò ha rallentato le risposte ad una sfida che già si preannunciava complessa, rischiando di relegarla in posizione secondaria quando invece essa produce un forte impatto sull’utilizzo dei fondi e sulla credibilità del Paese. Sotto i riflettori del mondo intero, infatti, Kiev non può più permettersi di mettere sotto il tappeto le debolezze interne che minacciano la sua tenuta democratica, specialmente nel momento in cui nel Paese entrano ininterrottamente miliardi di dollari di sostegni militari.
L’Ucraina ha bisogno, ora più che mai, di dimostrare la sua accountability, una credibilità che si configura come l’asset principale di cui può fare sfoggio con gli alleati in un periodo di grave crisi. L’inusuale velocità con cui Bruxelles ha aperto alla possibilità di inclusione del Paese nell’Unione Europea, inoltre, richiede a Zelens’kyjuna parallela accelerazione dei processi previsti dai piani anticorruzione in essere, una dimostrazione di affidabilità e impegno nel mettersi in regola con i criteri previsti per la realizzazione della membership europea.
Nell’osservare gli sviluppi di tale processo, occorrerà porre particolare attenzione anche all’atteggiamento che USA e UE decideranno di assumere, di fronte all’eventualità che il lavoro di rafforzamento istituzionale rallenti l’efficienza del Paese e diminuisca l’impatto degli aiuti economici e militari. In altre parole, non solo Zelens’kyjdovrà scegliere se privilegiare le riforme interne e il conseguente indebolimento dell’unità tanto faticosamente raggiunta, ma anche gli alleati occidentali si troveranno di fronte ad una scelta quasi moralmente connotata: denunciare il rischio di un utilizzo indiscriminato e ambiguo dei propri aiuti, o accettarlo implicitamente in nome di una possibile sconfitta della Russia, in un pericoloso “costi quel che costi”? Per ora, le scelte politiche di Kiev e le richieste dell’Occidente sembrano andare nella prima direzione.
Carolina Apicella