La tregua del blocco delle esportazioni del grano ucraino, raggiunta nel luglio 2022, si è estinta a solo un anno di distanza con il mancato rinnovo dell’accordo da parte della Federazione Russa. La crisi alimentare si è così inasprita di nuovo, andando a incrinare il delicato equilibrio che si era stabilito grazie ai compromessi raggiunti tra i belligeranti con la mediazione delle Nazioni Unite e della Turchia. L’accordo, originariamente, sarebbe dovuto scadere a novembre 2022, poi prorogato per altri 120 giorni, e successivamente per almeno 60 giorni, arrivando dunque alla scadenza definitiva, il 18 luglio 2023.
Il ritiro di Mosca
Con il Black Sea Grain Initiative firmato dal ministro della Difesa russo Sergej Shoigu e dal ministro delle infrastrutture ucraino Oleksandr Kubrakov a Istanbul si era creato un corridoio sicuro per le esportazioni di grano dall’Ucraina dai porti di Odessa, Yuzhnj e Chornomorsk. In base alle misure pattuite, si era istituito un gruppo formato da personale turco, ucraino e delle Nazioni Unite, con il compito di monitorare il carico di grano nelle navi prima di salpare per la rotta pre-pianificata nel Mar Nero. Durante il tragitto verso lo Stretto del Bosforo, invece, erano controllate da un centro di coordinamento a Istanbul che comprendeva anche rappresentanti russi. Per il loro viaggio di ritorno le navi sarebbero state ispezionate per assicurarsi che non portassero armi, clausola voluta dalla parte russa.
L’accordo ha avuto un impatto positivo sulla riduzione dei prezzi e sulla mitigazione della crisi alimentare globale, e il risultato raggiunto è stata la diminuzione di circa il 17% dei prezzi del grano, e una riduzione del 26% per quelli del mais.
A dare la spiacevole notizia della sua conclusione è stato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, dando come motivazione il mancato adempimento degli obblighi nei confronti della Federazione Russa. Inoltre, l’incidente del Krimskij Most’ avvenuto nei giorni precedenti al rinnovo non poteva che influenzare la posizione di Mosca, già dichiarata dal presidente Vladimir Putin. Tra le richieste principali della Russia: ricollegare la Banca agricola russa al sistema SWIFT; riapertura del gasdotto di ammoniaca Togliatti-Odessa, sospeso il 24 febbraio 2022 e successivamente sabotato il 5 giugno 2023; revocare le restrizioni alla fornitura di macchine agricole e pezzi di ricambio; consentire alle navi russe di entrare in porti stranieri; infine, sbloccare la logistica e l’assicurazione dei trasporti.
Come riportato dal vice ministro degli Esteri Sergej Vernishin sulla TASS, i tentativi del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres di soddisfare queste condizioni sono risultati deludenti. Altrettanto deludenti sono risultati quelli dell’Unione Europea, che a marzo ha sostenuto che le sanzioni non impediscono alla Russia di esportare prodotti agricoli via mare, posizione che quest’ultima non ritiene corrispondente alla realtà.
Opposta al clima di malcontento generale, Mosca non è poi tanto preoccupata delle conseguenze sul mercato interno. L’Unione russa dei cereali ritiene che l’effetto della sospensione dell’accordo sarà positivo, e gli esportatori nazionali continueranno a vendere il grano a prezzi competitivi. Questo non implica, comunque, l’indifferenza verso la cooperazione internazionale, specie con il Sud del mondo. La Russia già da un anno, infatti, sta lavorando per rinsaldare le relazioni con l’Africa. Nel luglio 2022 con i viaggi del ministro degli Esteri Sergej Lavrov in Egitto, Etiopia, Uganda e Repubblica del Congo, e nel luglio 2023 con il vertice Russia-Africa a cui ha presieduto il presidente Putin. Quest’ultimo si è espresso sui rapporti tra il proprio paese e il continente con l’articolo: “Russia e Africa: unire le forze per la pace, il progresso e un futuro vincente”. Il presidente ha sottolineato come il Grain Deal non abbia portato a risultati significativi, essendo che la maggior parte dell’export ucraino (70%) è andato in paesi ad alto reddito, come quelli dell’Unione Europeа, e solo meno del 3% è stato effettivamente venduto in Africa e in Medio Oriente. Putin giudica dunque l’accordo come un mezzo “per andare ad arricchire le grandi imprese americane ed europee, che esportavano il frumento dall’Ucraina per poi rivenderlo”. Al contrario, la Russia ha “sempre prestato molta attenzione” alla questione alimentare, esportando “sia su base contrattuale che a titolo gratuito, come aiuto umanitario” ai paesi africani. “Malgrado le sanzioni”, la Russia ha esportato 11,5 milioni di tonnellate di cereali nel 2022, e in questi ultimi sei mesi del 2023 altre 10 milioni di tonnellate.
Tra i paesi più interessati alle relazioni con Mosca c’è sicuramente l’Egitto, che oltre ad acquistare proficue quantità di grano, sta anche aumentando la cooperazione in materia di difesa. È poi il primo sito del progetto di Rosatom per la costruzione una centrale nucleare in Africa. Con la scomparsa del Grain Deal, i due paesi andranno a sviluppare nuove rotte logistiche, assicurando che il commercio di cereali non “dipenda più dalle compagnie assicurative del Regno Unito e degli Stati Uniti”, riporta la TASS. Altrettanto importante sta diventando l’Etiopia, che in materia alimentare è intenzionata, nello specifico, al contatto con la Russia per le forniture di fertilizzanti minerali.
Dall’altro lato della barricata
Senza dubbio, è l’Ucraina che paga il prezzo più alto con la fine dell’accordo. Ma, usando le parole del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, “anche senza la Federazione Russa, tutto deve essere fatto in modo da poter utilizzare questo corridoio del Mar Nero”. Il 26 luglio si è tenuta la prima riunione del Consiglio NATO-Ucraina a Bruxelles, creato al vertice di Vilnius a inizio luglio. L’incontro è stato convocato dal segretario generale Jens Stoltenberg su richiesta di Kiev. La tematica principale affrontata è stata proprio il blocco dei trasporti marittimi, non solo a seguito della fine dell’accordo ma anche per i ripetuti attacchi di Mosca alle infrastrutture di grano in Ucraina, in particolare al porto di Odessa. L’Alleanza “è unita e gli alleati continuano ad essere impegnati per l’Ucraina e ad aumentare la vigilanza nella regione”, ha dichiarato Stoltenberg. Per intensificare la sorveglianza nel Mar Nero, la NATO adopera anche aerei da pattugliamento marittimo e droni.
In concomitanza con la risoluzione dell’intesa, Mosca ha bombardato per tre giorni consecutivi la costa ucraina, distruggendo 60.000 tonnellate di grano, una quantità sufficiente a sfamare circa 270.000 persone, secondo il World Food Program. Le zone più colpite sono state le infrastrutture portuali di Odessa e di Chornomorsk. La Russia ha dato come motivazione la “vendetta di massa” per il precedente colpo al ponte sullo stretto di Kerch, oltre al fatto che, senza l’accordo, ogni nave ucraina che si aggira intorno ai porti sul Mar Nero viene ora considerata un obiettivo di guerra.
Ma al di là delle spiegazioni ufficiali, è chiaro gli attacchi vadano ricollegati al sabotaggio dell’export di grano ucraino. Mosca ha infatti preso di mira anche i terminali sul Danubio di Izmail e di Reni la sera del 26 luglio, importanti vie di scambio per vendere aggirando il blocco del Mar Nero. Secondo il Moscow Times, nell’ostacolare le esportazioni, la Russia spera di tagliare il bilancio delle entrate di Kiev, andando ad aumentare i prezzi sul mercato mondiale a proprio beneficio. “Questo è un evento più grande dei prevedibili attacchi a Odessa”, ha detto Andrei Sizov, esperto russo dell’industria agricola e alimentare, perché le vie fluviali erano ormai diventate l’alternativa principale dopo la fine dell’accordo. Il terminale di Izmail, insieme all’edificio amministrativo della Danube Shipping Company, è stato distrutto totalmente il successivo 2 agosto a seguito di attacchi di droni russi. Data non casuale, considerando che lo stesso giorno tre navi mercantili avevano raggiunto il porto della città al confine rumeno aggirando il blocco del Mar Nero sotto scorta di aerei NATO. Non si è fatta attendere la risposta del presidente rumeno Klaus Iohannis, che ha condannato l’accaduto come “inaccettabile” e “crimine di guerra”.
Il coinvolgimento internazionale
Gli sforzi internazionali si fanno sentire nel campo della diplomazia, e non solo per riprendere le trattative per il Black Sea Grain Initiative. Mentre la Turchia di Erdogan continua a giocare come mediatore tra i belligeranti, l’Unione Europea, insieme all’Ucraina, lavora per un’intesa con i paesi dell’Est Europa per le esportazioni di prodotti agroalimentari via terra. La situazione risulta però complessa sul piano logistico.
Il flusso di grano ucraino ha causato disordini tra gli agricoltori della Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia. Con lo scoppio della guerra, l’UE aveva eliminato i dazi sui prodotti agricoli ucraini, che ha causato un accumulo di grano e cereali e sfavorendo così la produzione e la vendita locale. Questo ha portato Varsavia, Budapest e Bratislava a chiudere le proprie frontiere ai prodotti ucraini lo scorso aprile. Bruxelles si è mossa repentinamente, e il 28 aprile l’intesa è stata raggiunta. Il pacchetto in questione, ha spiegato il presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, consiste nello stanziamento di 100 milioni di euro con un tasso di cofinanziamento del 200%. I fondi si vanno ad aggiungere ai 56,3 milioni di euro mobilitati a marzo, stanziati in Bulgaria, Polonia e Romania, con la possibilità di integrarli con i fondi nazionali fino al 100%. La questione si è però riaperta a fine luglio, con una dichiarazione congiunta dei cinque paesi, con cui si è richiesto di estendere il divieto temporaneo sui cereali esenti da dazi, mossa entrata in vigore il 2 maggio fino al 15 settembre. La proposta per estendere il divieto fino alla fine dell’anno è stata portata avanti dal commissario europeo per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski. Oltre a ciò, si propone un nuovo programma di sovvenzioni per aiutare le aziende ucraine con sussidi fino a 600 milioni di euro per facilitare la spedizione di 20 milioni di tonnellate fino al 31 dicembre. Per il momento, la Commissione sembra contraria a ogni proroga, posizione condivisa da Kiev. “Questa mossa violerebbe l’accordo di associazione Ucraina-UE”, ha dichiarato il ministro degli Affari Esteri ucraino Dmytro Kuleba.
I lavori sul Grain Deal continuano, per il momento, a non avere un grande successo. Il 18 agosto il ministro degli Affari Esteri turco Hakan Fidan ha espresso la volontà di discutere con Lavrov e Kuleba dei possibili scenari futuri. A detta della diplomazia turca, lo scenario che andrebbe a beneficio di entrambe le parti, nonché del mondo intero, è quello della ripresa dell’accordo, “non appena alcune preoccupazioni russe saranno rimosse”. Di recente, lo scorso 4 settembre, il presidente Putin e il suo omologo Erdogan si sono incontrati a Sochi, e l’incontro è stato definito un “fallimento” dal giornale ucraino Unian. Sia i russi che gli ucraini restano fermi sulle proprie posizioni senza mostrare alcuna volontà di venirsi incontro. Kiev ha poi lamentato che si discutesse della ripresa dell’accordo in sua assenza, ricevendo solo un invito perentorio ad “ammorbidire il suo approccio” nei confronti della Russia. Nonostante la situazione risulti in uno stallo, il presidente Erdogan crede che “l’accordo continuerà”, e una soluzione verrà raggiunta “con nuovi sforzi dell’ONU”.
Rinnovo o non rinnovo, il presidente Zelens’kyj si adopera per vie alternative. Durante il vertice Ucraina-Balcani svoltosi ad Atene a fine agosto, il presidente ucraino ha discusso della creazione di nuovi corridoi per i cereali con il suo omologo bulgaro Nikolai Denkov. Ha poi ottenuto conferma da Ursula Von der Leyen che l’export e il transito di prodotti ucraini riprenderà dal 15 settembre.