Nel 2011, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov così si espresse sui rapporti tra il proprio paese e la Repubblica di Cipro: “La Russia è interessata a una cooperazione intensa e fruttuosa con Cipro sulla base di sincera amicizia, intesa reciproca e interessi comuni“. Una dichiarazione in linea con una storia di vicinanza sull’asse Mosca – Nicosia, risalente all’epoca sovietica.
L’Urss fu accanita sostenitrice dell’autodeterminazione della futura Repubblica di Cipro negli anni precedenti l’indipendenza di quest’ultima dalla Gran Bretagna nel 1960. In maniera egualmente strenua, il Cremlino condannò la campagna militare turca sfociata nell’occupazione della parte settentrionale dell’isola nel 1974 e nella conseguente auto-proclamazione della Repubblica turca di Cipro Nord, entità statuale riconosciuta solamente da Ankara.
Il sostegno dimostrato alla Repubblica di Cipro da parte della Russia è stato ricambiato anche di recente, facendo sollevare da più parti la voce, secondo cui Nicosia rappresenti un “cavallo di Troia” per Mosca nel consesso europeo di Bruxelles. L’iniziativa tramite la quale l’isola ha dimostrato la propria riconoscenza al Cremlino è stata, per esempio, l’opposizione avanzata contro l’imposizione di sanzioni contro la Russia da parte dell’Unione. In tale occasione, Cipro sarà stata certamente memore del prestito di 2,5 miliardi di $ concessogli dall’amico gigante euroasiatico, quando la crisi del sistema bancario insulare la portò sull’orlo del fallimento. E altrettanto ben in mente avrà avuto la diversità di trattamento tra la pronta risposta sanzionatoria all’annessione della Crimea e la ben più tacita reazione occidentale all’occupazione turca della parte settentrionale di Cipro stessa. La Repubblica di Cipro si trova infatti in una posizione che le ha reso necessario il ricorso a un equilibrismo geopolitico, avente i propri estremi in Mosca da una parte e Washington dall’altra.
Nello specifico, l’appartenenza di Cipro all’Unione Europea, non accoppiata dall’adesione all’Alleanza Atlantica, ha reso il supporto occidentale condizionato dalla membership NATO di Ankara, un’ipoteca non trascurabile sui negoziati per la risoluzione del dossier cipriota, il cui ultimo round si è concluso con un nulla di fatto nel 2017. L’importanza relativa delle sorti dell’isola sullo scacchiere internazionale ha lasciato negli ultimi anni spazio a una contesa ricollegabile a due fattori principali, ossia la politica russa di assertività ed espansione in Medio Oriente e la battaglia per le risorse energetiche nel Mediterraneo orientale. Una congiuntura che rende l’equilibrismo cipriota finora invalso di ben più complicata attuazione.
Oltre agli storici rapporti di amicizia di cui sopra, Russia e Cipro possono contare su consistenti rapporti economici. Cartelli in cirillico e chiacchiericci slavi per le strade rendono edotto chiunque sbarchi sull’isola della massiccia presenza di turisti russi, passati da meno di 170 mila nel 2009 ai quasi 850 mila nel 2018. Egualmente consistente la portata degli investimenti diretti esteri bilaterali, stimata attorno ai 200 miliardi € nel corso dell’ultimo anno. Di gran lunga meno alla luce del sole di pallidi vacanzieri, i conti dei nuovi russi nelle banche cipriote, oggetto di ripetuti ammonimenti da parte delle autorità europee in merito a operazioni di riciclaggio di denaro in provenienza dalla Federazione. Ammonimenti caduti pressoché nel vuoto, visto che la fornitura di servizi bancari e finanziari è tra i fondamenti economici di un’isola dalle risorse oltremodo limitate. Aprendo il capitolo militare, l’intesa russo-cipriota diventa ancora più appariscente. Già nel 1997, Nicosia acquista da Mosca il sistema di difesa missilistico S-300. Una decisione da cui deriva una crisi che vede Ankara minacciare apertamente un conflitto e termina solamente con la cessione degli armamenti alle forze militari greche. Più fortunati in tal senso i russi, alle cui navi militari dal 2015 è concesso di condurre operazioni di rifornimento, scali tecnici ed eventuali operazioni di evacuazione di propri cittadini nel porto cipriota di Paphos. Un anno non casuale il 2015, che vede l’inizio delle operazioni militari di Mosca nel ginepraio siriano a fianco di Bashar al Asad.
Malgrado le reiterate dichiarazioni di un disimpegno dal Medio Oriente, gli Stati Uniti non hanno ancora trovato alleati cui delegare il compito di gendarmi della regione. L’asse sunnita a guida saudita è meno compatto di quel che ci si aspettava – con differenze nella visione della guerra in Yemen o posture anti-iraniane eterogenee (affermatosi in maniera trasversale, invece, l’intento normalizzatore nei confronti di Israele) – e la cosiddetta “Nato araba” auspicata da Trump per ora è solo sulla carta. Con Mosca uscita praticamente vittoriosa dalla guerra siriana, il colpo di grazia a Washington è arrivato con il “tradimento” perpetrato da Ankara con l’acquisto dei russi S-400. La defezione de facto della Turchia dalla lista degli alleati a stelle e strisce rende la caccia a ogni papabile partner aperta. Da Oltreoceano la prima carta giocata è quella militare, sotto forma di un disegno di legge sottoposto al Congresso che condurrebbe alla fine dell’embargo Usa sulle armi ai danni di Cipro. L’embargo è stato introdotto nel 1987 per evitare l’accumulo di armamenti e il conseguente rischio di escalation sull’isola. La proposta, avanzata ad aprile scorso, include anche il finanziamento per 2 milioni di $ in addestramento alle forze cipriote. Tutto ciò a una condizione: l’acquisto di armi Usa da parte di Nicosia non potrà prescindere dall’annullamento della già citata concessione di utilizzo di porti ciprioti da parte di imbarcazioni russe.
Malgrado durante la visita di Nikos Christodoulides al suo omologo Sergej Lavrov nell’aprile scorso si sia ribadito l’ottimo stato delle relazioni bilaterali, ancora riecheggia le parole della portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, che nel dicembre 2018 affermò che la Federazione non avrebbe accettato una “militarizzazione” dell’isola per mano statunitense. Un’affermazione nata dall’interesse a stelle e strisce nelle risorse energetiche, visto dal Cremlino come preludio a un più ampio coinvolgimento targato Usa. La corsa agli idrocarburi nel Mediterraneo orientale ha approfondito ulteriormente il divario tra Washington e Ankara, con la prima a sostenere il quadrilatero Cipro – Israele -Egitto – Grecia e la seconda a reclamare i propri diritti di estrazione.
La Turchia rivendica infatti il 44% della zona economica esclusiva di Cipro (con un ulteriore 25% della stessa oggetto delle pretese della Repubblica turca di Cipro nord) e ha già inviato in acque cipriote tre navi per condurre operazioni esplorative. Le reazioni non si sono fatte attendere, nello specifico da Bruxelles con l’applicazione di sanzioni ai danni della repubblica guidata da Erdogan. Nei tentativi di reciproco contenimento, da un parte la Russia guarda con timore al coinvolgimento statunitense nell’esplorazione di giacimenti (Exxon Mobil ha scoperto di recente un terzo giacimento al largo dell’isola) e nella costruzione del gasdotto EastMed pipeline il cui fine precipuo sarebbe proprio un’emancipazione dell’Europa dai rubinetti di Gazprom (attualmente fornitore di circa il 37% del fabbisogno di gas del Vecchio Continente). Dal canto loro, gli Stati Uniti osservano con circospezione il riavvicinamento russo-turco e il crescente peso di colossi come Novatek e Rosneft nella regione (si pensi alla partecipazione della prima – insieme a Eni e Total – alle esplorazioni al largo del Libano o all’assegnazione alla seconda della gestione degli impianti di stoccaggio di greggio nel nord del paese dei Cedri).
In questo contesto, Cipro si trova in un limbo, soprattutto in merito al dossier che le sta maggiormente a cuore, ossia la vexata quaestio della riunificazione dell’isola. La spartizione degli idrocarburi potrebbe essere un punto d’incontro con la Repubblica kemalista, se non fosse per il crescente isolamento – e il conseguente senso di accerchiamento – cui essa è soggetta. La postura sempre più anti-turca di Washington non può che essere di detrimento a un abboccamento tra una Nicosia sostenuta dall’Occidente e un’Ankara cosciente che la miglior difesa sia l’attacco. E neppure l’amicizia con Mosca pare aiutare Cipro: nel tentativo di far convivere gli interessi sull’isola e la rinata intesa anatolica, il Cremlino potrebbe ridursi a una strategica sospensione del giudizio .