All’ombra dei conflitti in Ucraina e a Gaza, l’esodo di massa dei karabakhi in Armenia non ha catturato la stessa attenzione dei media internazionali e dei pesi massimi della diplomazia. Tuttavia, le conseguenze di questo conflitto si ripercuotono in tutta la regione, e oltre, raggiungendo l’Unione Europea e l’Italia, oggi più che mai coinvolte nel Caucaso meridionale in ragione delle politiche di approvvigionamento di gas naturale. Altrettanto significative sono le ripercussioni interne per Yerevan: il primo ministro Nikol Pashinyan si trova a gestire la più grande crisi umanitaria del Paese degli ultimi 30 anni.
Il raid di Baku e l’emergenza umanitaria
Il 19 settembre 2023, dopo 10 mesi di embargo quasi totale nei confronti della Repubblica dell’Artsakh (3200 kilometri quadrati, uguale per estensione alla Valle d’Aosta), un’invasione lampo dell’esercito azero coglie di sorpresa le forze di difesa locali. Queste ultime, sbaragliate, non possono fare altro che supportare l’esodo di massa dei rifugiati attraverso il corridoio di Lachin, unico cordone ombelicale verso l’esterno. Tra le 110.000 e 120.000 persone lasciano le proprie case raggiungendo la vicina Armenia. Ciò avvenuto nonostante la presenza delle forze di peacekeeping russe nella regione, incaricate specificamente di garantire l’integrità del Nagorno-Karabakh.
Secondo le Nazioni Unite1 sarebbero tra 50 e 1000 i cittadini di etnia armena rimasti nel Nagorno-Karabakh, altrimenti detto Artsakh dalle ex autorità indipendentiste. L’Armenia, che ha una popolazione di circa 3 milioni di persone, ha sperimentato in una sola settimana un aumento del 4% della sua popolazione. l’UNHCR2 ha pubblicato una richiesta di fondi per 97 milioni di dollari per gestire la crisi nei primi 6 mesi dall’arrivo dei rifugiati.
In teoria, tutte le parti coinvolte – il governo armeno, il governo azero, potenze straniere, e gli stessi armeni del Karabakh – dichiarano di volere il ritorno della popolazione. Il conflitto etnico e politico tra i due Paesi del Caucaso, riaccesosi a metà febbraio con schermaglie letali al confine, rende ritorno dei rifugiati nel Karabakh è decisamente incerto. Al seguito del decreto di scioglimento della Repubblica dell’Artsakh firmato dalle sue autorità il 28 settembre 2023, il piccolo Stato auto-proclamato si è consegnato ai libri di storia. Non solo le sue istituzioni sono state dissolte, ma il Servizio statale per la migrazione dell’Azerbaigian ha aperto un portale3 chiamato “Reintegration portal of Armenian residents living in the Karabakh economic region of the Republic of Azerbaijan” – ad oggi, secondo lo stesso portale, solo 13 persone si sarebbero iscritte.
L’Armenia di fronte alla crisi dei rifugiati
L’intera popolazione armena si è mobilitata immediatamente per far fronte comune nella gestione dell’emergenza: nel Paese non sono stati costruiti campi profughi per l’accoglienza, perchè più della metà degli sfollati usufruiscono di alloggi statali mentre i restanti hanno trovato accoglienza tra i residenti armeni o case che pagano autonomamente. La città di Gori, con poco più di 10.000 abitanti e una delle prime a trovarsi inondata dalle persone in fuga, non ha dovuto far costruire neanche un campo d’accoglienza perché i cittadini avevano già predisposto le loro case, locali e alberghi per l’accoglienza.
Secondo dati ufficiali del Governo4, il 38% della popolazione rifugiata vive a Yerevan mentre un altro 15% vive attorno le province limitrofe di Kotayk e Ararat. Nonostante un costo della vita decisamente più alto rispetto al resto del paese, nonché dello stesso NK, Yerevan rappresenta ancora il centro urbano con maggiori prospettive di lavoro e futuro. La situazione è resa ulteriormente complessa dalla pre-esistente inflazione, dovuta non solo al generale rincaro dei prezzi dei mercati globali (a causa della volatilità internazionale) ma anche dall’arrivo in massa degli immigrati russi in città (definiti релоканти, relokanti, spesso in senso dispregiativo) al seguito della guerra in Ucraina, che hanno sensibilmente alzato in affitti e prezzo di beni di consumo. Per dare un’idea, ad oggi, un appartamento nell’estrema periferia di Yerevan è difficile da trovare a meno di 300,000 dram armeni (poco meno di 700 euro).
Per supportare finanziariamente i nuovi arrivati, il governo armeno ha erogato pagamenti in contanti ai rifugiati: 100.000 dram (circa 200 euro) a tutti i rifugiati, seguita poi da ulteriori 50.000 dram (circa 100 euro) di assistenza all’affitto per coloro che lo pagano autonomamente. Il 31 Gennaio, nell’ultima consultazione relativa ai rifugiati del NK, Il Vice Primo Ministro Tigran Khachatryan, che coordina il “Centro Umanitario”, una cabina di regia interna al Governo che sovrintende le azioni a favore degli sfollati, ha riportato una fotografia degli sforzi del governo per affrontare la situazione dei rifugiati. Circa 4,4 miliardi di dram sono stati stanziati attraverso le amministrazioni regionali per garantire la sicurezza alimentare alle 112.000 persone sfollate. Sono stati inoltre implementati programmi di sostegno finanziario, borse di studio e assistenza sanitaria.
Le ricadute politiche della crisi
Politicamente, il governo Pashinyan si ritrova di fronte ad un dilemma. Nonostante l’arresto delle sfere più alte della politica karabakhi, alcuni di questi esponenti sono riusciti a fuggire in esilio a Yerevan e molti5 di essi chiedono a gran voce di ignorare il decreto di dissoluzione di settembre e di procedere alla costituzione di un Governo in esilio in Armenia. Intanto, il Presidente azero Aliyev alimenta lo spettro del “revanscismo” karabakhi, denuciando una supposta volontà degli armeni di riprendere il controllo del Karabakh in futuro. Un governo in esilio del Karabakh, stabilito in Armenia, verrebbe quindi interpretato da Baku come un segno del supporto ufficiale di Yerevan al revanscismo.
Benché Pashinyan non si sia mai formalmente distanziato dalle dichiarazioni degli ex leader dell’Artsakh, il Presidente del Parlamento armeno Alec Simonyan6 (saldo alleato del PM) ha esplicitato la sua opposizione alla continuazione del governo de facto del NK in esilio a Yerevan in una sessione legislativa del 16 novembre 2023: ”Non vedo l’opportunità di creare o mantenere lo sviluppo delle istituzioni statali qui. Sarebbe una minaccia diretta alla Repubblica dell’Armenia.”
La difficile posizione dell’amministrazione Pashinyan agli occhi del suo elettorato è ulteriormente aggravata da due fattori. Il primo è l’intenzione, dichiarata a gennaio 2024, di modificare la Costituzione armena. Il piano di riforma prevede di abolire il preambolo7 del testo costituzionale, che recependo la dichiarazione del Consiglio Supremo della Repubblica Socialista Sovietica Armena del 1989, invoca l’unificazione della SSR armena e del Nagorno-Karabakh. Il secondo fattore è la chiara volontà politica di riavvicinamento a Baku, attraverso una Commissione per la delimitazione degli incerti confini tra i due Paesi e la condivisione delle mappe dei campi minati (i c.d. UXO – Unexploded Ordinances, esplosivi non ancora detonati, la cui identificazione e messa in sicurezza richiederà almeno un decennio) di cui il governo è a conoscenza. Questi tentativi sono stati letti dalla società civile e dai media armeni come eccessiva e oltraggiosa cedevolezza verso l’Azerbaigian.
L’integrazione dei rifugiati karabakhi rappresenta oggi la priorità politica numero uno di Yerevan. Le modalità e l’esito di questo processo, oltre alle nuove politiche di vicinato e la normalizzazione delle relazioni con Baku decreteranno il futuro politico dell’attuale leadership del Paese – sta a Pashinyan evitare l’ennesima spada di Damocle.
Fabrizio Furlani
1 (“UN Karabakh Mission Told ‘Sudden’ Exodus Means as Few as 50 Ethnic Armenians May Remain,” 2023)
2 (“UN and Partners Appeal for US$97 Million to Respond to Urgent Needs of Refugees and Their Hosts in Armenia,” 2023)
3 https://reintegration.gov.az/
4 (“99.2 percent of forcibly displaced persons from Nagorno Karabakh have been registered” 2023)
5 (“Заявление НС Республики Арцах: Мы подтверждаем нашу приверженность отстаиванию прав народа Арцаха,” artsakhpress.am 2023)
6 (“Parliament speaker: Preservation of Artsakh state institutions threatens Armenia’s security” panorama.am, 2023)
7 (Republic of Armenia, Constitution of the Republic of Armenia 1990)