C’è un legame profondo nella memoria del popolo russo tra guerra cecena e islamofobia. Per certi versi, l’Islamofobia è stato un elemento aggiunto di recente all’immaginario collettivo del cittadino russo. Durante le conquiste del Caucaso, nel IX secolo, i più illustri letterati dell’epoca anzi contribuirono a diffondere il fascino per quelle terre remote ed esotiche che sollecitavano l’immaginazione. Tolstoj descrive in questi termini la religione del Caucaso: “non c’è dubbio che in termini formali l’Islam sia superiore all’Ortodossia“. Inoltre, quando il suo celebre personaggio Olenin lascia Mosca per dirigersi nel Caucaso, “è attraversato da un felice stato d’animo di un giovane uomo conscio degli errori passati ma che dice a se stesso ‘non era una cosa reale’ “. Dunque, Tolstoj tendeva a vedere il Caucaso in contrapposizione ad una società russa ipocrita, secolarizzata e materialista. Gli stessi Cosacchi erano quasi dipinti con un velo di ammirazione, come degli eroi valorosi rispetto alle truppe dell’impero. Non si distanziano molto da questa prospettiva alcune opere di Pushkin e Lermontov, che descrivono la popolazione caucasica sotto un’accezione di romanticismo tipico dell’epoca, che tende ad esaltare l’anima sensibile e coraggiosa, a tratti cinica, dei personaggi.
Durante gli anni dell’ateismo di Stato, non si possono certo riscontrare eclatanti o diffusi episodi di razzismo nei confronti della popolazione caucasica, ma ciò è del tutto in linea con la trasposizione in secondo piano in maniera trasversale del culto religioso.
Soprattutto il secondo conflitto in Cecenia, che aveva bisogno di un maggiore sostegno politico, è stato il fine che ha generato tutta quella serie di pregiudizi che si trascinano fino ai giorni nostri e che ha finito per travalicare i confini del Caucaso Settentrionale. Tutt’oggi, il conflitto in Cecenia rimane uno dei più sconcertanti, sia per la mole di violenza e crudeltà di cui oggi abbiamo ampia testimonianza, sia per le ragioni, divenute col tempo sempre più discutibili, che hanno scatenato tali brutalità.
Il Caucaso del Nord stava veramente diventando una fucina di terrorismo ed estremismo wahabita o fino a che punto il discorso “caucasofobico” e “islamofobico” è stato montato dalla propaganda russa?
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Intorno a queste due domande si è articolata l’opinione pubblica russa, non tanto agli albori della guerra ma quanto successivamente, quando il conflitto si prolungava per un tempo indefinibile e l’opinione pubblica iniziava a vacillare. Molti iniziarono a chiedersi cosa spingesse i soldati ed i generali russi a perseverare in una campagna ormai diventata una carneficina bestiale e se mai questa avesse visto una fine.
Insomma, a quale pro stiamo davvero combattendo?
Questa analisi si concentra principalmente sulla diffusione dell’Islamofobia in concomitanza con la propaganda anti-cecena, che si è sviluppata principalmente prima dell’inizio della seconda guerra cecena, con Vladimir Putin.
Le origini dell’Islam nel Caucaso
Nel Caucaso, la diffusione dell’Islam risale a tempi più antichi dell’affermazione dell’Ortodossia in Russia. Le prime influenze giunsero ben nell’ottavo secolo, durante l’espansione araba, che esportò sia la religione che la lingua del Corano.
Le regioni di Adygea, Circassia, la Repubblica di Cabardino – Balcaria, l’Ossezia del Nord, la Cecenia, l’Inguscezia e il Dagestan sono luoghi che racchiudono solamente un quinto di tutti i Musulmani della Russia. Inoltre, seppur la maggioranza di questi ospiti una maggioranza di fedeli musulmani, si riscontra un ricco mosaico di correnti e scuole islamiche differenti. Le popolazioni di Cecenia e il Dagestan appartengono alla dimensione mistica del Sufismo, mentre nei territori più ad ovest si segue la scuola sunnita, in eredità dall’Impero Ottomano. Il Dagestan è stato il primo ad essere islamizzato e questa è una delle ragioni che spiegano la forte devozione all’Islam, manifestatasi soprattutto con la fine dell’Unione Sovietica, quando tutte le Repubbliche sono state attraversate dall’emergere di ondate indipendentiste che si accompagnavano ad un revival religioso.
In Russia, il wahabismo ha coinciso più che altro con il sentimento di indipendentismo del Caucaso e di liberazione dalla Russia. Militanti e terroristi portarono avanti con convinzione il progetto di costituire un unico Caucaso indipendente sotto il governo della Shari’a, come proclamato dal leader indipendentista ceceno Basaev. In Dagestan si formarono delle vere e proprie unità islamiche politicizzate, che dichiaravano guerra al governo pro – russo. Queste unità politiche erano ispirate fortemente dal successo esemplare della Cecenia che aveva proclamato unilateralmente l’indipendenza e successivamente instaurato la Shari’a. Il Wahabismo, al di là della sua strumentalizzazione per fini politici, divenne anche una fonte di guadagno per molte persone del posto, di cui tutto ciò che possedevano era andato distrutto durante il primo conflitto ceceno. Per chi voleva combattere nella jihad di liberazione dal nemico russo, e persino per chi riusciva a portare nella lotta nuove reclute, vi erano ingenti compensi. È in questo contesto che si inseriscono i mujaheddin, i quali giunsero dall’Afghanistan principalmente per addestrare le forze separatiste o per fornire aiuti umanitari. Uno di questi fu Khattab, un combattente che giunto dall’Afghanistan giocò un ruolo fondamentale nella prima e nella seconda guerra cecena combattendo a fianco dei separatisti.
Chi non riesce ad inquadrare la declinazione della jihad nel contesto ceceno, perde forse il punto focale della situazione. È importante ricordare che la Cecenia merita un discorso a parte, perché se in altri contesti geografici e storici la jihad ha preso le forme di una guerra santa contro il mondo intero, nel caso della Cecenia la jihad era combattuta esclusivamente contro la Russia. Perciò è utile ripercorrere e destrutturare la propaganda russa, che in quegli anni fu costruita intorno alla preparazione del secondo intervento in terra cecena ed alla legittimazione dello stesso, ma che proprio per questo fine molto spesso perse il contatto con la realtà.
Settembre 1999
Il settembre di quell’anno è arrivato quasi come un preludio al settembre di due anni dopo, che ha sconvolto l’intero ordine mondiale, includendo l’Occidente nella lotta al terrorismo. In quell’anno, molti avvenimenti cambiarono le sorti degli accordi di Khasavyurt: dal ritiro dalla politica di Eltsin, che cedeva il posto a Vladimir Putin, alla crescente paura della minaccia terroristica in seguito alla serie di bombe che vennero fatte scoppiare tra Mosca e Volgodonsk, al prezzo di centinaia di morti tra i cittadini russi. L’8 settembre, a Mosca, una prima esplosione colpì un palazzo e pochi giorni dopo, una nuova ne distrusse completamente un altro. Altre esplosioni in fila si ebbero nella regione di Rostov e di Volgodonsk.
Restano tuttavia numerosi scetticismi che non sono mai stati chiariti in merito al vero artefice degli attentati: i Ceceni non hanno mai rivendicato l’azione e questo ha fatto presupporre che il tutto sia stato architettato dall’FSB. Il risultato è stato in ogni caso un inasprimento dell’odio razziale e verso la religione islamica, che ha fatto guadagnare a Putin il giusto consenso lanciare la controffensiva contro la Cecenia. La tesi che dietro le quinte ci sia la mano dei servizi segreti è sostenuta da svariate personalità del panorama russo, tra cui il matematico ed imprenditore Berezovskij e l’ex agente del KGB, Litvinenko. A favore di tali teorie viene spesso riportato il noto incidente di Ryazan, che ha generato versioni divergenti tra i locali e gli agenti dell’FSB.
Parallelamente, i gruppi separatisti ceceni erano entrati in Dagestan per allearsi con i combattenti islamici che volevano scacciare le truppe russe presenti sul territorio. Le truppe russe, infatti, erano state man mano dispiegate per intervenire nel conflitto che era scoppiato tra i leader wahabiti del Dagestan, che avevano proclamato la Shari’a, e il resto della comunità. Nel mentre, anche i separatisti ceceni avevano fatto incursione nel Dagestan per aiutare i separatisti nella lotta contro la presenza russa sul territorio, con l’intento di formare un unico stato islamico che comprendesse sia il Dagestan che la Cecenia. Le truppe russe avevano risposto con degli attacchi ai leader ceceni Basaev e Khattab, durante il loro ritorno in Cecenia, e questo aveva fornito l’appiglio per collegare i fatti che stavano avvenendo in Dagestan con la serie di attacchi-bomba in Russia, fatti passare come atti di ritorsione da parte dei separatisti ceceni. Infatti, una volta che i gruppi dei rispettivi leader erano stati attaccati, gli stessi avevano promesso di “prendere le adeguate misure” in merito all’accaduto.
Questi due eventi del 1999, in concomitanza con l’ascesa di Putin, erano state come una scossa per l’opinione pubblica, che si era come risvegliata e chiedeva una punizione esemplare per quei terroristi. La serie di bombardamenti del settembre del 1999 furono sufficienti a dichiarare lo stato di emergenza e a convincere definitivamente i russi della necessità di intervenire. Se nel 1994, vale a dire con Eltsin, solo il 30% era favorevole all’intervento in Cecenia, lo scetticismo svanì rapidamente e la percentuale raddoppiò: nel 1999 il nuovo presidente Putin poteva contare sul sostegno del 70 % dei russi.
Questi sono gli avvenimenti che hanno contribuito alla costruzione di una propaganda anti-islamica ed il sentimento anti-caucasico in Russia, che ha gettato per anni fumo negli occhi dei cittadini, impedendo loro di interrogarsi sulle ragioni reali dell’invio dei loro soldati in Cecenia, ma soprattutto di vedere con lucidità le atrocità commesse e le ripetute violazioni dei diritti umani durante il conflitto ad opera delle stesse truppe della Federazione.
La propaganda russa
La seconda guerra in Cecenia prese dunque le sembianze di una misura per contrastare il terrorismo, dal momento che si disse che erano molti i foreign fighters giungenti da altri stati islamici per combattere a fianco dei separatisti ceceni. In gran parte si trattava dei mujaheddin, contro cui i militari russi avevano combattuto in Afghanistan durante l’occupazione sovietica. Secondo quanto affermato dalle autorità russe, c’erano buone ragioni di temere l’esistenza di un filo diretto tra i separatisti ceceni e Al Qaeda e che la Cecenia si fosse trasformata in un “porto sicuro per i terroristi”. Secondo molti, tali affermazioni sono un’esagerazione rispetto alla realtà dei fatti ed un effettivo legame così come temuto dalla Russia non è mai stato comprovato. Ad esempio, il ruolo principale di Khattab era quello di addestrare le truppe e di organizzare degli atti di guerriglia contro l’esercito russo, non quello di rispondere ad un piano più grande orchestrato da Osama Bin Laden per diffondere la jihad in Russia. Gli stessi servizi di intelligence misero in giro un rapporto che mirava a smascherare i legami tra Khattab e la rete di Al Qaeda, ma una serie di elementi resero difficile comprovare la veridicità dei dati. Gli stessi bombardamenti degli appartamenti russi gli furono attribuiti, ma lo stesso negò più volte un suo coinvolgimento, affermando che egli combatteva contro le forze russe, ma non contro donne e bambini. In ogni caso, Khattab fu classificato come terrorista ed ucciso tramite una lettera avvelenata.
Dall’ascesa del giovanissimo ed energico Putin nel 1999 cambiò tutto. Anche la stampa contribuì a diffondere il senso di minaccia proveniente dal Caucaso per indirizzare l’opinione pubblica verso un secondo intervento: il prezzo di un non-intervento sarebbe stata la disintegrazione e il collasso della stessa Federazione. In base a tale visione, i terroristi volevano operavano per creare un “Grande Califfato” dal Caucaso del Nord, all’Asia Centrale, passando per la regione del Volga e dunque per la Repubblica del Tatarstan, di religione islamica.
Durante il conflitto, la propaganda ha continuato a supportare il sacrificio delle truppe russe, eroici combattenti che affrontavano i banditi nel Caucaso del Nord. Voci fuori dal coro, come quella di Anna Politkovskaja, venivano screditate e nel peggiore dei casi eliminate. In realtà, proprio grazie alla sua presenza sul campo, stavano iniziando a diffondersi le idee per cui il conflitto nel Caucaso, più che essere un’operazione anti-terrorismo, si stava trasformando in una brutale carneficina di civili e in altre sistematiche violazioni dei diritti umani, quali rapimenti, stupri, bombardamenti di scuole ed ospedali, saccheggi (le tristemente note zasike, cioè le incursioni dei soldati russe in appartamenti di civili indifesi) e così via.
In ogni caso, i costi stavano diventando sempre più insostenibili anche per i russi, sia in termini economici che di vite umane. La propaganda doveva essere elevata ad un livello successivo per mantenere alto il consenso e dunque a questo contribuì la crescente islamofobia, che si mescolò alla caucasofobia. L’elemento dell’islamofobia fu una novità per la società russa, che durante gli anni dell’ateismo di Stato e la soppressione di qualsiasi forma di culto religioso era diventata piuttosto tollerante o meglio indifferente per lo meno alle differenze religiose. Già con il primo conflitto ceceno si erano insediati i germi di questa nuova forma di razzismo, divenendo la minoranza caucasica capro espiatorio delle difficoltà economiche dopo la caduta del comunismo. I Caucasici rumorosi ed irruenti, che violentano le loro ragazze di etnia slava e che sottraggono il mercato ai loro giovani. Nel sud della Russia, sempre più spazi politici erano occupati dai rappresentanti delle minoranze etniche e i russi “puri” non potevano far valere i loro diritti. Dunque, i Caucasici vennero progressivamente dipinti come “nemici esterni” e questo fu un caso del tutto singolare poiché paradossalmente erano cittadini della stessa Federazione, ma persino questo passò in secondo piano offuscato dall’odio interetnico. Nel 2001, Putin tenne un discorso in cui sosteneva il legame tra Cecenia e terrorismo internazionale, dopo gli attacchi dell’11 settembre.
In quegli anni, i media russi contribuirono alla diffusa stigmatizzazione del cittadino ceceno. Nel suo film Purgatory, il parlamentare della Duma e regista Alexander Nevzorov aveva evidenziato i crimini di guerra compiuti e maltrattamenti delle donne ad opera dei ceceni, a giustificazione della violenza delle truppe della Federazione. Il messaggio era “questo è quello che potrebbe succedere se le nostre truppe non tenessero a bada i Ceceni”.
Le conseguenze
I soldati russi, incattiviti dagli anni di guerra, esaltati ed inebriati dalla violenza a cui oramai si erano quasi assuefatti, avevano bisogno di un periodo di riabilitazione una volta tornati a casa. Questo non fu previsto nella maggior parte dei casi con il risultato che simili manifestazioni di violenza venivano riprodotte anche al di fuori della guerra. A questo si aggiunge l’Islamofobia ormai diffusa. Le conseguenze furono che alcuni elementi della guerra che si combatteva si riproducevano anche oltre i confini ceceni. Nel 2001 e nel 2002, ci furono alcuni pogrom contro i venditori dei mercatini ambulanti di origine caucasica. A Mosca, nel 2001, sorse un bar che si rifiutava di servire clienti di origine caucasica.Il razzismo dilagante si estese per osmosi anche ai cittadini dell’Asia Centrale. Si arrivò così nel 2002 all’approvazione di una legge che aboliva la possibilità per cittadini di Repubbliche ex sovietiche di ottenere la cittadinanza per naturalizzazione.
L’importanza di decostruire la propaganda
Come già dimostrato, la Cecenia merita un discorso a parte. È un caso singolare in cui la jihad e il sentimento religioso in generale hanno coinciso con una dichiarazione di indipendenza e in parte con una reazione rispetto al primo intervento. La necessità di combattere contro la Russia e di fare di questo conflitto una guerra santa si è esacerbata con gli errori degli stessi russi, che, offuscati da una massiccia propaganda di stato, si sono lasciati trascinare in un conflitto inutile e devastante per entrambe le parti. Ripercorrere le origini dell’Islam nel Caucaso e la storia di quei popoli è importante per decostruire tale propaganda ed evitare che gli stessi errori si verifichino in epoche ed in contesti differenti. Inoltre, smantellare i discorsi razziali è importante anche perché si perdono di vista le vere minacce, o si finisce per farle avverare, in una profezia che si autoavvera. È innegabile che in Russia ci sia il pericolo del terrorismo e che bisogna cercare un dialogo con le differenti correnti di pensiero islamiche presente all’interno e immediatamente fuori i confini della Federazione. La propaganda non è il mezzo giusto per farlo e il dialogo si deve sostituire a questa.
Letture consigliate
Hughes, J., & Sasse, G. (2016). Power ideas and conflict: ideology, linkage and leverage in Crimea and Chechnya. East European Politics, 314-334.
Pokalova, E. (2015). Chechnya’s terrorist Network. The Evolution of Terrorism in Russia’s North Caucasus. ABC-CLIO, LLC.
Politkovskaja, A. (2003). A Small Corner of Hell: Dispatches from Chechnya. University of Chicago Press.
Trenin, D. V., & Malashenko, A. (2004). Russia’s Restless Frontier. The Chechnya Factor in Post – Soviet Russia. Washington: Carnegie Endowment for International Peace.