Dal 20 al 22 novembre si è svolta in Italia la visita del capo di stato della Repubblica d’Armenia Nikol Pashinyan. Una tappa di due giorni tra il nord e il centro Italia passata inosservata tra i media nostrani per via dello scarso interesse nei confronti delle sorti o dell’esistenza di questo paese nell’opinione pubblica nostrana. Il premier è arrivato nel Belpaese accompagnato dal ministro dell’economia, Tigran Khachatryan e dal vicepresidente della Banca centrale, Nerses Yeritsyan. La presenza di queste due cariche illustra la priorità data al miglioramento degli scambi commerciali tra Caucaso e Occidente, che il primo ministro va promuovendo in una frequente “shuttle diplomacy” fin dai primi mesi dell’ascesa al potere. Il momento cardine della visita di stato si è avuto a Roma in occasione dell’incontro bilaterale con il primo ministro italiano Giuseppe Conte, ma solo dopo una serie di incontri e meeting tra Venezia e Milano.
Nella Serenissima, piegata in questi giorni dall’infuriare del maltempo, il primo ministro ha visitato l’isola armena di San Lazzaro incontrando i membri della Congregazione Mekhitarista. Dal 1700 il piccolo isolotto ospita un monastero di un ordine religioso armeno giunto a Venezia per sfuggire alla devastazione Ottomana. Nella ricca biblioteca di San Lazzaro degli Armeni sono conservati circa 170.000 volumi e molti altri manufatti arabi, indiani ed egiziani. Il monastero, sopravvissuto all’occupazione napoleonica, è ancora oggi un patrimonio inestimabile, un faro di cultura teologica e laica, nonché l’ennesima dimostrazione della multiculturalità che per secoli ha arricchito la repubblica marinara. Pashinyan ha potuto verificare la conta dei danni in seguito alle recenti inondazioni, ha mostrato la vicinanza della madrepatria e in un successivo colloquio ha enfatizzato il contributo della comunità armena sparsa nel mondo e il legame indissolubile tra Yerevan e la diaspora.
Lasciata Venezia, Pashinyan ha raggiunto Milano per prendere parte al Business Forum italo-armeno organizzato da Mediobanca e alla conferenza patrocinata dal think thank meneghino ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) in collaborazione con il comune lombardo. In occasione del primo appuntamento, Pashinyan ha vigorosamente sottolineato i risultati raggiunti dal paese in ambito economico e la potenzialità nell’accrescere ulteriormente gli scambi tra Armenia e Italia. Il Belpaese è attualmente il secondo partner commerciale di Yerevan in Europa e il recente aumento delle esportazioni del 30% circa sottolinea il consolidarsi di una convergenza. Dall’ascesa al potere di Pashinyan, nel 2018 dopo aver vinto a valanga un’elezione resasi obbligata dalle dimissioni del precedente primo ministro Serj Sargysian, questo si è fatto portavoce di un paradigma rivoluzionario con l’obiettivo di rilanciare l’immagine, il ruolo e l’economia della piccola repubblica. Sull’onda lunga dell’entusiasmo prodotto dalla “rivoluzione di velluto”, il governo Pashinyan si è impegnato nel patrocinare ambiziose riforme per combattere la corruzione, il residuo potere politico delle élites dell’esautorato Partito Repubblicano, abbattere il gap infrastrutturale, migliorare il sistema educativo e arginare il reflusso emigratorio che è una delle principali cause del declino demografico della nazione.
Stando ai dati ufficiali del Governo e delle principali agenzie economiche internazionali, l’economia armena appare in fase di netta crescita: +6,5% il dato di aumento del PIL su base annua nel secondo trimestre 2019 secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica. Il dato supera le previsioni di bilancio che indicavano una crescita del 4,9% a fronte di un tasso di inflazione del 2,7%. Non solo economia, in quanto l’Armenia ha recentemente raggiunto un accordo con la compagnia aerea irlandese Ryanair per dare il via alle prime tratte low cost tra diversi paesi europei e gli aeroporti di Yerevan e Gyumri, seconda città del paese. In ultimo, l’Armenia si sta rendendo protagonista di una rivoluzione nell’ambito tecnologico e dell’innovazione con l’aumentare della presenza in loco di aziende dell’high-tech interessate al ricco capitale umano prodotto dai centri educativi del paese e dal clima di fiducia che si respira nel paese.
La presenza dell’Armenia nell’Unione Euroasiatica (insieme a Russia, Kazakhstan, Bielorussia e Kirghizistan) e gli accordi raggiunti con l’Europa tramite il Partenariato orientale fanno del paese un fondamentale snodo commerciale all’interno del blocco euroasiatico. Pashinyan nel corso del Forum ha invocato la sempre maggiore integrazione del paese con il mercato globale e la necessità che le imprese italiane investano nel cambiamento e nelle prospettive future del paese, dall’energia all’agroalimentare, fino al tessile. Per quanto riguarda il settore dell’energia, aperto da tempo al mercato internazionale, gli operatori italiani sono già presenti numerosi. L’italiana Renco, ad esempio, in joint venture con Siemens, ha avviato quest’anno la nuova centrale di cogenerazione a gas di Yerevan (240 Megawatt). Mentre la ContourGlobal sta completando la modernizzazione del sito di Vorotan, principale complesso idroelettrico del Paese.
La politica estera, invece, al centro della conferenza ISPI tenutasi a Milano. Di fronte a un pubblico di addetti ai lavori, diplomatici, studenti e autorità del comune di Milano, Pashinyan ha avuto l’occasione di discutere delle vicende che lo hanno portato al potere due anni fa, dell’entusiasmo che si respira nel paese, ma anche dell’impasse nei colloqui per la risoluzione del conflitto in Nagorno Karabakh (Artsakh). L’Armenia e il vicino Azerbaijan, infatti, si confrontano dal 1988 sulle sorti di questa regione de jure appartenente a Baku, ma abitata e amministrata dalla locale comunità armena in collaborazione con la madrepatria. Lo stallo diplomatico si inserisce nell’ambito di quei “frozen conflict” peculiarità dell’area post-sovietica e ha creato un alone di ostilità, scavando una cortina di ferro che ha isolato l’Armenia ad est con l’Azerbaijan e ad ovest con la Turchia. Una questione spinosa per la diplomazia internazionale, riunita nel Gruppo di Minsk, che non è riuscita a produrre quasi nessun risultato. Dal 1988 si sono susseguiti diversi scontri militari tra le autorità di Stepanakert (la capitale dell’Artsakh), coadiuvata dall’Armenia, e le forze armate azere. L’ultima offensiva in larga scala risale al 2016, ma non sono mai cessati gli scontri, gli incidenti e le provocazioni da un lato e dall’altro della trincea.
Il cambio al vertice in Armenia ha immediatamente suscitato le speranza di un cambio di paradigma molto atteso, ma tutt’oggi regna ancora lo stallo. Troppo forte è la sfiducia bilaterale e il radicato nazionalismo rende quasi impossibile la possibilità di concessioni da ambo i lati. Il conflitto del Nagorno Karabakh si è tramutato in un gioco a somma zero, con l’Armenia che ha fatto della regione la culla del popolo armeno e una propaggine vitale nel percorso storico di etnogenesi del popolo e dalla nazione armena e l’Azerbaijan, in contraltare, armato di un nazionalismo revanscista nutrito dall’autocrazia afferente al presidente İlham Əliyev. Allo stallo, alla corsa continua agli armamenti e ai discorsi infuocati si accompagnano un razzismo e un odio etnico che hanno trovato terreno fertile. Pashinyan, in occasione dell’incontro di Milano, oltre a ribadire la necessità di ripristinare il dialogo e il processo di pacificazione, ha insistito sulle discriminazioni che gli armeni hanno subito e continuano a subire nel paese (divieto di ingresso per chiunque possegga la cittadinanza o anche solo un cognome armeno, delegittimazione di Yerevan in ogni consesso internazionale, razzismo instillato nella popolazione tramite il sistema educativo) che hanno vanificato l’entusiasmo e le prospettiva del primo ministro. Per dovere di cronaca, bisogna citare l’importanza simbolica, storica e religiosa che l’Artsakh continua a godere tra l’opinione pubblica armena, che in diverse occasioni ha mostrato scarso o nullo entusiasmo verso la possibilità di concedere il territorio agli azeri.
La visita di stato si è conclusa il 22 novembre a Roma con l’incontro tra il primo ministro armeno e l’omologo italiano e successivamente con la presidente del Senato della Repubblica italiano Maria Elisabetta Casellati. Conte, di fronte al suo omologo, ha sottolineato la comunanza di valori e le radici storiche tra le due nazioni. Per l’Italia diventa una priorità il rafforzamento di legami e imbastire un dialogo aperto e costruttivo su visioni condivise. Il contributo delle forze di sicurezza armena al contingente UNIFIL in Libano ha incrementato la fiducia delle autorità italiane nelle attitudini del piccolo paese. L’Italia è presente in Armenia con diversi progetti e imprese e intende valorizzare l’immagine del Belpaese sponsorizzando centri culturali e potenziando l’investimento della lingua italiana nelle strutture educative. In merito alla vicenda Nagorno, il premier Conte ha assicurato l’impegno del paese nel condannare una possibile escalation armata, preferendo l’uso di mezzo pacifici e della diplomazia. Pashinyan ha espresso “[…] la fiducia che, con sforzi congiunti, sarà possibile tenere la seconda sessione della commissione a Yerevan in un breve periodo di tempo. Abbiamo fatto riferimento alle opportunità di sviluppo della cooperazione turistica”. In ultimo, il premier armeno ha ringraziato l’Italia per il riconoscimento del genocidio armeno e il contributo nel preservare la memoria di quell’orrore.
FOCUS – La comunità armena in Italia
Fin dal tempo dei Romani (con l’invito di Nerone nel 66 d.C. al re armeno Tiridate I per l’incoronazione nel Foro), strettissimi sono stati i legami fra gli Armeni e l’Italia. Nel tempo i rapporti si sono consolidati sicché oggi la penisola conserva tracce significative, nella toponomastica e nell’architettura, di tali legami. E le comunità armene, insediatesi in diverse località, in epoche differenti, hanno arricchito nell’arte, nella scienza e nella cultura la società italiana.
A partire dal Medioevo, comunità armene si insediano in molte regioni italiane; funzionari amministrativi bizantini, colonie commerciali (specie nelle località portuali come Venezia, Livorno, Bari, Taranto) e insediamenti monastici hanno segnato la presenza armena per molti secoli. A Venezia, nel 1512 fu stampato il primo libro in armeno. L’Isola di S. Lazzaro dei Padri Mekhitaristi, con la ricchissima biblioteca, la tipografia ed il museo, dal 1717 svolge un ruolo importantissimo per il mantenimento e la diffusione della cultura armena.
Dalla fine del XIX sec e all’inizio del XX i rapporti divengono soprattutto culturali. Possiamo affermare con certezza che una buona parte della intellighenzia armena si forma in Italia proprio sui banchi veneziani. Con gli anni Venti del Novecento, l’Italia conosce un afflusso di profughi armeni scampati al genocidio. Alcuni sono solo di passaggio, altri si fermano per ricostruire un futuro. Attualmente la diaspora armena in Italia è composta da alcune migliaia di persone e le comunità più attive sono quelle di Roma, Milano, Padova, Venezia e Bari.