La complessa eredità storica e politica dei Paesi dell’area balcanica ha fortemente influenzato lo sviluppo di strategie energetiche mirate alla diversificazione degli approvvigionamenti oltre che della realizzazione di adeguate infrastrutture per la produzione energetica.
Inoltre, la scarsità di fonti fossili nell’area balcanica ha fatto sì che i suoi Paesi si rivolgessero all’esterno per l’approvvigionamento necessario. Oggi essa dipende in gran parte dalle forniture di gas in arrivo dalla Russia attraverso l’Ucraina.
Il paradigma energetico dell’area è rimasto così incapace di attuare una vera e propria transizione in linea con le tendenze dell’Unione Europea. I Paesi balcanici stanno registrando un aumento dei consumi interni di gas e, a fronte di una parziale, ma maggiore di un tempo, integrazione dei sistemi produttivi con quelli degli altri Paesi europei, i governi si vedono costretti ad adottare nuove soluzioni in grado di alimentare il tessuto industriale e i consumi all’interno dei propri confini. A fronte di queste dinamiche, come gli sviluppi a livello di mercato internazionale del gas, la rinegoziazione dei volumi transito in Ucraina, e l’entrata di nuovi attori, gli Stati Uniti in quanto esportatori di LNG, aprono a nuove possibilità per i governi dei Paesi balcanici che si vedono sempre maggiormente coinvolti nello sviluppo di progetti internazionali a livello delle infrastrutture di gas.
Unione Europea, Stati Uniti e Russia sono dunque sono al centro dello sviluppo di importanti infrastrutture e strategie di approvvigionamento che riguardano il versante balcanico a cavallo del confine dell’Unione Europeo.
Il Corridoio Meridionale del Gas
Il Southern Gas Corridor (SCG) è un progetto sostenuto dall’Unione Europea destinato a incrementare la diversificazione delle fonti e la sicurezza degli approvvigionamenti, grazie al trasporto di nuovo gas naturale, proveniente dall’Asia centrale. Si compone di tre tratti distinti: il South Caucasus Pipeline (Azerbaijan, Georgia, Turchia), il Trans Anatolian Pipeline (Turchia) e il TAP (Grecia, Albania, Italia).
Lo scorso febbraio si è tenuto a Baku il quinto incontro a livello ministeriale per lo sviluppo del SGC. A livello infrastrutturale il progetto è in fase avanzata dei lavori; secondo i piani il gasdotto potrà trasportare 16 – 20 miliardi di m3 (bcm) l’anno, di cui sei destinati alla Turchia e il restante per essere distribuito nella rete europea.
Il gas proveniente dal giacimento di Shah Deniz II, in Azerbaigian Mar Caspio, grazie a un ulteriore potenziamento della rete di distribuzione, potrà essere collegato all’Interconnettore IGB, un gasdotto che connette Bulgaria e Grecia dalla capacità di 3 bcm/anno. In seguito agli accordi del 2019 l’interconnettore dovrebbe diventare operativo nel 2021 permettendo così alla Bulgaria di approvvigionarsi del gas proveniente oltre che dal tracciato del TAP, anche dal gas in arrivo dalla Grecia.
A partire dal governo Tsipras, Atene ha puntato molto sull’upgrade della propria rete infrastrutturale allo scopo di diventare un hub del gas nella regione del Mediterraneo. Sono da inserire in questo quadro l’espansione del rigassificatore di Revithoussa e la realizzazione del terminale offshore del porto di Alessandropoli.
I porti greci saranno aperti dunque alle forniture internazionali di gas, provenienti soprattutto sotto forma di LNG dagli Stati Uniti, e collegati attraverso l’interconnettore IGB alla Bulgaria, che potrà dunque approvvigionarsi del gas da sud, e non più da nord come nel caso del gasdotto Trans Balkan.
TAP (Trans Adriatic Pipeline) – un’opera strategica per l’Italia
Infine, il terzo segmento del SGC, il TAP, rappresenta un’opera chiave anche per lo scenario energetico italiano. In linea con la strategia delineata nel Piano Nazionale Energia e Clima, il gasdotto rappresenta un ulteriore tassello per la diversificazione degli approvvigionamenti della penisola. Oltre che ad aumentare la sicurezza energetica del Paese, il TAP permetterà di collegare il gas proveniente dall’Azerbaijan con il punto di scambio di Baumgarten in Austria. Tale obbiettivo risulta importante in vista della realizzazione del Nord Stream 2, pipeline che collega la Russia alla Germania con una capacità di 11bcm/’anno. L’Italia con il TAP potrà aprire una rotta a sud, seppur di soli 10 bcm/anno, e ridurre la dipendenza dal gas in transito attraverso Ucraina e Germania, aumentando anche la competitività del proprio sistema industriale.
IAP (Ionian Adriatic Pipeline) – un progetto che attraversa i Balcani
La Ionian Adriatic Pipeline (IAP) è un progetto di Albania, Bosnia, Croazia e Montenegro hanno confermato con il MoU del 2016 l’intenzione di realizzare le infrastrutture e connettere così i propri sistemi di distribuzione al TAP. Nonostante la ridotta capacità di trasporto, 5bcm/anno, si apre la possibilità di diversificazione delle fonti di approvvigionamento e del mix energetico dei Paesi coinvolti. Un ulteriore fattore da tenere in considerazione è che la pipeline arriverebbe alla città croata di Split e che la Croazia sta ulteriormente ampliando le sue fonti di approvvigionamento anche attraverso il rigassificatore situato sull’isola di Krk. Più difficile invece prevedere gli sviluppi per quanto riguarda il South Gas Interconnector, un’infrastruttura da 5bcm/anno che nel 2019 ha ricevuto il supporto dalla DG per l’allargamento dell’UE. Tuttavia, resta ancora da completare lo studio di fattibilità, previsto per il 2020, e valutare gli investimenti necessari per la realizzazione dell’opera.
Le politiche di decarbonizzazione
Oltre agli aspetti legati alla sicurezza energetica anche quelli di tipo ambientale, intesi come parte di una strategia energetica nazionale sostenibile, occupano una posizione di rilievo. In questo senso è da notare come i mix energetici dei Paesi balcanici siano altamente dipendenti dal carbone.
I Balcani Occidentali coprono circa il 50 per cento dei propri consumi totali con carbone e lignite, in particolare quest’ultima risulta fondamentale per la produzione elettrica in Serbia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia.
Lo sviluppo di nuove rotte di approvvigionamento e la penetrazione nel gas in queste aree permetterebbe innanzitutto di ridurre le emissioni di CO2 e, in secondo luogo, permettere uno sviluppo di quelle fonti energetiche intermittenti quali le rinnovabili che potrebbero godere del sostegno del gas andando a creare una generazione elettrica più pulita e sostenibile nel lungo periodo, impattando positivamente anche sulla sicurezza energetica dell’intera regione.