Armenia e Azerbaigian stanno intraprendendo un faticoso percorso di normalizzazione post-conflitto. Centrale in quest’ultimo è il corridoio di Zangezur, progetto mai veramente abbandonato da Baku. Ma la situazione internazionale potrebbe non favorire le mire azere, per nulla gradite al vicino Iran.
Con la prova di forza in Karabakh del settembre 2023 che ha portato alla sconfitta della repubblica indipendentista dell’Artsakh, il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev aveva l’obiettivo dichiarato di porre fine una volta per tutte alle dispute territoriali con l’Armenia. Tuttavia, il conflitto ha lasciato irrisolto il nodo delle comunicazioni infrastrutturali tra Azerbaigian e l’exclave di Nakhichevan, separati dalla regione armena di Syunik. Il ripristino delle vie di transito è da tempo un obiettivo strategico del presidente Aliyev e dell’alleato turco Erdogan, elemento che i due Paesi vogliono raggiungere stabilendo un collegamento extraterritoriale in terra armena, lungo il confine con l’Iran, noto come corridoio di Zangezur.
La mano tesa di Teheran
Alcuni osservatori temono che Baku, incoraggiato dall’inazione collettiva delle potenze internazionali di fronte alla forzatura in Nagorno Karabakh, possa tentare di stabilire il corridoio manu militari. L’autocrate azero di parrebbe invece scommettere su un processo negoziale con l’Armenia, puntando sull’isolamento internazionale dell’omologo armeno Pashynian, impegnato in un’apparente lenta transizione dal protettorato russo all’asse euroatlantico. Un approccio diplomatico al tema ha permesso a Baku di non esacerbare le tensioni con l’Iran, che da sempre ha indicato come una linea rossa la viabilità del proprio confine con l’Armenia. Dopo mesi di attacchi diplomatici ed esercitazioni militari sul confine, i due Paesi a maggioranza sciita hanno infatti gradualmente riaperto il dialogo in un apparente tentativo di stabilire un nuovo ordine regionale condiviso. In questa fase l’Iran, già ampiamente coinvolto nello scontro aperto con Israele, ha sperato di trovare un compromesso con l’Azerbaigian sul Nakhichevan, proponendo un’alternativa al progetto di Zangezur denominata corridoio di Aras, dal fiume che delimita il confine tra la Repubblica Islamica e i due Paesi del Caucaso. La controproposta di Teheran vorrebbe deviare le vie di comunicazione verso il Nakhichevan attraverso il territorio iraniano, assicurandosi così il controllo di uno sbocco commerciale a nord e la centralità strategica nelle due principali rotte commerciali della regione, il Middle Corridor e il corridoio Nord-Sud (INSTC).
Foto: Azernews
Una risoluzione favorevole della questione armena favorirebbe inoltre gli ayatollah nell’ottica dello scontro regionale con Israele. La vicinanza strategica tra Baku e Tel Aviv non ha certo mai facilitato le relazioni di buon vicinato con Teheran, e dopo l’attacco israeliano all’ambasciata iraniana in Siria, il 1 aprile 2024, l’escalation regionale ha messo l’Azerbaigian in una posizione difficile. Attento a non inimicarsi l’opinione pubblica musulmana, in particolar modo quella turca, il governo Aliyev ha ridimensionato la rilevanza pubblica della propria partnership con Israele, ma non la sua sostanza. Già tra i primi esportatori di greggio verso Tel Aviv, l’Azerbaigian ha aumentato di quasi il 28% la propria fornitura rispetto al 2023, con il tacito assenso turco e iraniano: Teheran ha adottato infatti una strategia distensiva verso Baku per prevenire un rafforzamento della partnership militare con Tel Aviv, in cui il corridoio di Aras andrebbe a cementare una nuova amicizia tra i due Paesi a discapito dello Stato ebraico.
Mosca spinge per stare a galla
Seppure inizialmente abbracciato dagli azerbaigiani, il progetto di Aras oggi appare fragile. La ragione è che Baku potrebbe non aver più bisogno di mediare con Teheran, forte del sostegno delle altre due potenze della regione: la Turchia, naturalmente, e in modo più inedito, la Russia di Putin. La posizione di Mosca su Zangezur ha visto una notevole evoluzione nell’ultimo anno, parallelamente al progressivo peggioramento delle relazioni russe con Yerevan. La pace firmata dopo la seconda guerra del Karabakh prevedeva la riapertura delle vie di comunicazione nella regione dietro controllo delle truppe russe. In virtù di ciò, la Russia si è sempre opposta alle pretese azere di stabilire un corridoio extraterritoriale, in un momento in cui l’Armenia, alleata di Mosca, era strumentale alla proiezione di potenza russa nello spazio post-sovietico. Dopo la conquista azerbaigiana del Nagorno-Karabakh con il benestare, quantomeno passivo, di Mosca, i rapporti di forza nel Caucaso sono cambiati: l’Armenia, sacrificata dalla Russia in quanto fonte di instabilità sul fianco meridionale, ha reagito smarcandosi nettamente dalla storica alleanza, arrivando a una defezione de facto dal CSTO. Lo scontro tra Pashinyan e il Cremlino ha polarizzato le posizioni dei due Stati, portando Erevan ad avvicinarsi a Kiev e Mosca a rivedere a favore di Baku la propria posizione sul corridoio. Nel nuovo assetto geopolitico, con Erevan ormai dichiaratamente rivolta a Occidente, l’extraterritorialità, ovviamente intesa sotto il controllo russo, non solo è tornata un’ipotesi sul tavolo, ma anzi viene impiegata dalla Russia come leva per mantenere la propria rilevanza nella regione.
Putin offre ad Aliyev la mediazione russa nel negoziato con l’Armenia, Baku agosto 2024. Foto: Daily Sabah
Questa svolta va tuttavia a scontrarsi con gli interessi iraniani, in un corto circuito complessivo degli equilibri regionali post-sovietici. Iran e Russia hanno intensificato la cooperazione militare già a partire dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, dove i droni iraniani vengono ampiamente impiegati dall’esercito russo. Le tensioni nel Caucaso però rischiano di mettere alla prova la tenuta di questa alleanza tattica, dal momento che la nuova apertura di Mosca alle rivendicazioni azere genera frustrazione a Teheran. Mentre la Russia è interessata a mantenere il controllo sul commercio nella regione, l’Iran ha bisogno di eliminare Zangezur dall’equazione per rendere Aras l’opzione più attraente per tutti gli attori in gioco.
La connettività nel Caucaso Meridionale rimane uno dei nodi geo-economici più importanti dell’intero spazio euroasiatico. La presente configurazione geopolitica, rende instabile la rotta russo-ucraina e quella del Mar Rosso, rilanciando invece la centralità strategica del Caucaso, sottoposto tuttavia a pressioni contrastanti da parte di tutte le potenze regionali. L’asse turco-azerbaigiano persegue le proprie ambizioni panturche centrate sul Middle Corridor, cercando però la via del dialogo con i vicini per non compromettere la posizione di vantaggio guadagnata nel conflitto del 2023. Mosca si vede costretta a inseguire Baku per fare valere il proprio ruolo di mediatore regionale, di fronte alla minaccia su Armenia e Georgia. Dall’altra parte, Erevan cerca di uscire dall’isolamento internazionale senza ulteriori colpi alla propria sovranità territoriale, e Teheran si pone come protettore dell’Armenia assumendo comunque un approccio cooperativo con Baku e Mosca, nel timore di essere tagliato fuori dal commercio regionale e regalare a Israele un’influenza ancora maggiore sull’area.
Paolo Bottazzi