Dalla caduta dell’Unione Sovietica ad oggi, il Partito Comunista della Federazione Russa (Pcfr) si è raccolto attorno ad un solo nome: Gennadij Zjuganov. Escluse le poco fortunate elezioni presidenziali del 2004, il candidato della falce e martello è sempre stato lui. Con risultati abbastanza lusinghieri, sebbene decrescenti: dal 32% del 1996 che gli permise di accedere al ballottaggio (nel quale fu sconfitto da El’cin) al 17% raggiunto nel 2012.
Ebbene, oggi i comunisti cambiano volto. La nuova proposta si chiama Pavel Grudinin, moscovita classe 1960. Si laurea nel 1982 in ingegneria meccanica e da quel momento comincia la sua fortunata carriera professionale. Comincia a lavorare in una fattoria collettiva, il Sovchoz Lenina, nel quale sono impiegati già vari membri della sua famiglia. La sua ascesa è lenta, ma costante: fino al 1989 dirige l’officina meccanica del Sovchoz, poi diventa vicedirettore fino al 1995. Nel frattempo l’Urss è crollata e la terapia shock architettata per traghettare la Russia nel capitalismo liberale sta mostrando i suoi (nefasti) effetti. Anche la fattoria deve adeguarsi all’economia di mercato e viene privatizzata, trasformandosi in una società di capitali. Grudinin tuttavia acquisisce la maggioranza delle quote dell’impresa, diventandone proprietario e direttore.
Poco dopo inizia anche il suo cursus honorum in politica, venendo eletto nel parlamento dell’Oblast di Mosca nel 1997. Si associa a Russia Unita, viene rieletto altre due volte (nel mentre trova anche il tempo per una seconda laurea in giurisprudenza) e nel 2011 esce dal partito, che nel frattempo ha deciso di appoggiare un altro candidato. Si avvicina così ai comunisti, che in occasione delle elezioni della Duma nel 2016 lo schierano senza successo all’uninominale (la candidata di Russia Unita, Lidiya Antonova, fa l’en plein raccogliendo da sola il 51%).
A fine dicembre 2017 giunge infine l’attesa investitura per le presidenziali. Una scelta di rottura, ma neanche troppo: Zjuganov coordinerà personalmente la campagna elettorale. Si è trattato piuttosto di un rinnovamento nella continuità, dettato dalla necessità di rimettere in sesto l’appeal di un partito decisamente in affanno (i 42 seggi ottenuti nel 2016 rappresentano il minimo storico). Con la carta Grudinin si spera di prendere due piccioni con una fava: primo, ricucire le sempre più frequenti fratture a sinistra. Grudinin infatti, prima ancora di ottenere la candidatura dal partito, aveva già vinto le primarie del Fronte di Sinistra, coalizione extraparlamentare anti-revisionista e fortemente critica nei confronti di Putin. Secondo, espandere i consensi presso i più giovani. Effettivamente l’ingegnere può stendere una mano di smalto fresco sulla falce e martello grazie alla sua immagine singolare di imprenditore e comunista. Proprio per questo motivo, oltre che per la passata appartenenza a Russia Unita, egli si è già attirato le feroci critiche di Maxim Suraykin, leader di Comunisti di Russia, piccolo partito (2,3% nel 2016) che contesta da sinistra la presunta deriva borghese del Pcfr.
Ma effettivamente cos’ha di comunista un imprenditore con un passato nemmeno troppo lontano nel partito del potere? Insomma, Grudinin in fin dei conti è un opportunista? Nonostante le apparenze sembrerebbe di no e la risposta risiede proprio nel Sovchoz Lenina. L’azienda agricola, pur essendo nominalmente una società privata, è di fatto gestita in maniera simile alle cooperative sovietiche. I lavoratori guadagnano più del doppio dello stipendio medio di un russo e possono usufruire gratuitamente di servizi e infrastrutture all’avanguardia, nei quali l’impresa reinveste parte dei propri profitti: appartamenti, una clinica, scuole sul modello europeo.
Grudinin incarna dunque l’archetipo olivettiano del magnate “capitalista suo malgrado”, ma in Russia non è neanche il primo. Basti pensare all’eccentrico imprenditore nel campo dell’hi-tech Ilya Ponomarev, ex dirigente del Pcfr e propugnatore di un avveniristico comunismo in cui la proprietà privata viene sostituita dalla condivisione di conoscenze e know-how. La buona stella di Ponomarev si è eclissata a causa del suo atteggiamento eccessivamente filo-occidentale, che gli è costato il sostegno del partito e infine addirittura il congelamento dei conti bancari mentre si trovava in California (oggi vive in Ucraina).
Un rischio che non sembra invece riguardare Grudinin, più attento a mescolare sapidamente socialismo, populismo e venature nazionaliste. Possiamo riassumere infatti il suo programma in sei punti:
- Cambiare la strategia economica della Russia: una nuova industrializzazione basata sull’innovazione, politiche monetarie espansive, utilizzo delle risorse al servizio del popolo anziché degli oligarchi, gassificazione delle aree periferiche, aumento della produzione alimentare e standard di sicurezza più alti.
- Assicurare la sicurezza interna del Paese, la difesa dei suoi confini e la sua indipendenza economica, in nome della quale uscire dall’Organizzazione Mondiale del Commercio.
- Riforma fiscale: introdurre una tassa progressiva, abolire l’imposta sul valore aggiunto e sui trasporti.
- Politiche sociali: salario minimo pari a 25-30.000 rubli (poco più della metà dell’attuale stipendio medio), aumento dei sussidi di maternità, prezzi calmierati per case e beni di prima necessità, sanità e istruzione superiore gratuite, pensioni minime non più basse del 50% del salario medio, piano edilizio per giovani famiglie con prestiti a interessi 0% per trent’anni, abbassamento degli interessi sui mutui pari al 3-4%, limitazione degli strumenti finanziari utilizzabili per concedere prestiti.
- Protezione dell’ambiente e supporto pubblico per musei, teatri e biblioteche.
- Istituzioni e riforme: più fondi agli enti locali, elettività dei giudici, riduzione del mandato presidenziale a 4 anni (con limite di due mandati), approvazione dei ministri da parte della Duma, creazione del Consiglio Supremo di Stato, organo collegiale incaricato di approvare decisioni presidenziali di cruciale importanza.
Tuttavia nemmeno gli ambiziosi propositi dei comunisti, che guardano con interesse sempre maggiore al modello cinese, sembrano far breccia nel popolo russo: i sondaggi quotano Grudinin intorno al 5-7%. Putin vola a quote molto più alte e la posta del Pcfr a questo punto è il titolo di opposizione più votata. Dovranno difendersi dalle insidie dell’ultra-nazionalista Žirinovskij, che un anno fa era quotato al 10% ma ora è a sua volta in affanno.
Samuel Boscarello