“Chi controlla il passato, controlla il futuro”, scriveva Orwell, e l’odierna Russia sembra essersi posta questo obiettivo. La riqualificazione del periodo stalinista e il caso del museo GULAG di Mosca.
All’indomani del crollo dell’Unione Sovietica le sue ex repubbliche, ora indipendenti, iniziavano programmi di nazionalizzazione che si basavano, per la maggior parte e con gradi di fermezza diversa, anche nella rinegoziazione delle proprie storie nazionali. Storie, fino a quel momento, scritte dall’alto dell’apparato sovietico e utilizzate come “tecnologie culturali di governo” per esercitare ulteriore forza e coercizione sulle periferie.
In questo contesto, nella maggior parte di quello che viene definito ‘lo spazio post-sovietico’ si alzavano nuovi monumenti per riportare alla luce momenti della storia prerivoluzionaria, cancellati per volontà dei bolscevichi, e per illuminare i momenti più tragici dell’esperienza sovietica, nascosti all’opinione pubblica dalla stessa leadership. Tra questi, il monumento alle vittime delle repressioni di Stalin in Bielorussia, legata alla scoperta di una fossa comune a Kurapaty; il monumento alla memoria delle vittime dell’Holodomor in Ucraina, e vari musei dell’oppressione e del terrore in diversi Paesi dell’ex blocco sovietico e socialista (Budapest, Vilnius, Tbilisi…). Allo stesso tempo,in questi Paesi, cadevano, vittime di uno sgambetto della Storia, Lenin e compagni, diventati simboli di una celebrazione controversa di un passato grandioso, che non lo è sempre stato.
La Russia, inizialmente, sembrava abbracciare una linea simile. Già ai tempi dell’URSS con Khruščëv la figura di Stalin era scomparsa ovunque possibile, compresa la sua stessa salma, rimossa dal mausoleo in Piazza Rossa – che oggi ospita solo Lenin, ma che aveva conservato il suo successore fino al 1961. Sempre in quegli anni spuntava, alle porte dell’ex lager della città di Inta, nella Russia del nord, il primo monumento in memoria delle vittime delle repressioni politiche, eretto dagli stessi sopravvissuti. Ma saranno gli anni di perestrojka e glasnost gorbacioviane, dal 1985 in poi, ad aprire una nuova fase di più intensa autoriflessione. Nel 1987 nasceva così la Memorial society, e negli anni successivi, a Mosca, si installava la pietra Soloveckij e si allestiva la ‘settimana della coscienza’, in memoria delle vittime politiche.
Monumenti che si costruivano, però, su basi non sempre solide, poiché riconoscevano delle vittime senza accusarne fermamente i carnefici. In questo senso, il dibattito si aprì solo nel 1989 e gli imputati erano in particolare tre: il ministro degli esteri Molotov, il ben noto Stalin e il generale Voroshilov. Prima che questo processo informale potesse concludersi, però, la disintegrazione stessa dell’Unione richiamò a sé tutta l’attenzione, privando la Russia di una sua fondamentale necessità storica e sociale. Il vuoto che ha lasciato questa domanda senza risposta consegna oggi uno spazio di manovra troppo ampio all’attuale governo, che ne approfitta per fare della storia una vera e propria arma di dis-istruzione di massa.
Putin, lo storico
Se El’cin aveva già compreso l’importanza che un’“idea russa” avrebbe avuto per il processo di nation building intrapreso negli anni successivi dalla nazione, sarà solo Putin a coglierne tutte le potenzialità e a prendere la penna in mano. Dalla sua salita al potere, il presidente si è sempre dimostrato un grande appassionato di storia – o per lo meno di una sua versione che ammette varie omissioni e inesattezze. Dai suoi discorsi e saggi di materia storica risulta, però, come Putin faccia di questa una vera e propria arma in quella che viene chiamata la guerra temporale cognitiva (Cognitive Temporal Warfare – CTW), utilizzata dal governo per raggiungere obiettivi, in ambito domestico ed internazionale, ben precisi.
A livello interno, il primo obiettivo era quello di legittimare e rafforzare il proprio potere. Per farlo, ha sapientemente selezionato e relativizzato diversi momenti della storia ‘russa’, muovendosi fra passato e presente con grande agilità, con il fine di promuovere la storia di uno Stato forte (Velikaja Rossija) e stabile, grazie ad una leadership centralizzata. L’obiettivo principale era quello di restituire alla sua nazione l’orgoglio che sentiva essergli stato ingiustamente sottratto nei ‘selvaggi anni ‘90’. Attingendo da questi sentimenti popolari di ingiustizia e rilevando una certa tendenza nostalgica sia verso il passato sovietico che imperiale, Putin risolse tutte le principali controversie riguardanti i simboli nazionali, arrivando a riabilitare l’inno nazionale sovietico, seppur con un testo aggiornato. Questa narrazione tornò utile quando, in seguito allo scoppio delle rivoluzioni colorate nelle vicine Georgia e Ucraina, il rischio di una sua diffusione nella Federazione aveva portato il governo ad adottare misure di ‘contro-rivoluzione preventiva’ che includevano proprio la creazione di una commissione presidenziale per contrastare i tentativi di falsificazione della storia (2009).
A livello internazionale, invece, quella stessa creazione di musei dell’oppressione, e la nuova retorica intorno all’esperienza sovietica proveniente dalle ex repubbliche sorelle, spingeranno Putin a voler espandere la sua visione storica anche in Europa, dove si parlava della necessità di integrare la tragica esperienza dell’Est nella narrativa europea. Già nel 2007, con il celebre discorso di Monaco, Putin esporrà la sua distanza rispetto a questa narrativa, tanto da considerarsi un momento di svolta nelle relazioni Russia-Europa. Ma sarà nel 2014 che le parole diventeranno fatti. Prima con l’annessione della Crimea e, subito dopo, con la firma della nuova “legge sulla memoria”, che criminalizza certe opinioni sul passato sovietico.
Gli eventi del 2014 rendono evidente come interessi domestici e internazionali si sono andati via via fondendo, arrivando poi al culmine rappresentato dal saggio del presidente “sull’unità storica russa e ucraina” del 2021, e la successiva invasione dell’Ucraina stessa. Allo stesso tempo, nel territorio della Federazione, quel processo di monumentalizzazione nazionale sembra attraversare una nuova fase, e la chiusura del museo GULAG è solo l’ultimo atto di questa storia.
GULAG e Stalin, di nuovo
Dietro questa nuova fase, infatti, c’è chi individua la risoluzione del 2019 della Commissione europea per la memoria dove si afferma che “la Seconda Guerra Mondiale […] scoppiò come diretta conseguenza del famigerato Trattato di non aggressione tedesco-sovietico del 23 agosto 1939 (Molotov-Ribbentrop) e dei protocolli segreti ad esso allegati”. Al presidente Putin, l’idea di condividere lo stesso grado di responsabilità storica dei nazisti non è piaciuta molto e da quel momento si sono susseguiti una serie di discorsi, saggi e una nuova commissione “di verifica storica”, simile a quella del 2009, ma che stavolta non includeva nessuno storico fra i suoi partecipanti, bensì solo personalità politiche.
Ne è risultato un rinnovato impegno volto a sminuire le conseguenze negative del regime sovietico, e una parallela riabilitazione di esso e della stessa persona di Stalin, seppur mai in termini espliciti. Ne sono indicativi la chiusura del museo GULAG, formalmente temporanea e “a causa di irregolarità di sicurezza anti-incendio”; l’inaugurazione di un nuovo museo della Seconda guerra mondiale, nella città di Volgograd (ex Stalingrado), all’ingresso del quale si erge indisturbato un nuovo busto di Stalin, ma anche la sistematica sparizione di placche in onore alle vittime politiche del regime sovietico, prima sparse per la capitale. Oltre alla recente proposta di voler trasferire la stessa pietra Soloveckij dalla sua attuale posizione centrale.
Il volto della Storia
Così, ‘l’uomo senza volto’, come definiva Putin Masha Gessen, è andato via via trasfigurandosi nell’immagine stessa della Russia, o per lo meno di una sua narrativa storica da egli stesso modellata, fondata sull’idea di uno Stato forte e di una leadership centralizzata e stabile. L’uso che fa della storia il presidente Putin non è semplice disinformazione, ma arma per combattere una guerra ideologica, rispetto al polo europeo, e di coercizione rispetto al pubblico domestico e alle opposizioni. Negli ultimi anni, le sue parole hanno cominciato, però, a costruire e ad abbattere. Non solo con la guerra in Ucraina, ma anche in un rinnovato processo di revisionismo storico che ignora sempre di più le vittime e celebra sempre di più i suoi carnefici. E le radici di tutto ciò sono da ritrovarsi proprio nella mancata elaborazione della pesante eredità sovietica (e imperiale), che ha lasciato insoddisfatta una fondamentale necessità storica della nazione.
Luca Ciabocco
Fonti:
Bíró, Z. S. (2023). The falsification of history:: War and Russian memory politics. In Russia’s Imperial Endeavor and Its Geopolitical Consequences (pp. 51–76). Central European University Press.
Cucciolla, R. (2020, June 21). Guerra di statue, anche in Russia. Da Stalin a Putin, breve cronistoria. Formiche.net. https://formiche.net/2020/06/guerra-di-statue-russia/
Edele, M. (2017). Fighting Russia’s history wars: Vladimir Putin and the codification of world war II. History & Memory, 29(2), 90. https://doi.org/10.2979/histmemo.29.2.05
Forest, B., & Johnson, J. (2002). Unraveling the threads of history: Soviet–era monuments and post–soviet national identity in Moscow. Annals of the Association of American Geographers. Association of American Geographers, 92(3), 524–547. https://doi.org/10.1111/1467-8306.00303
Khapaeva, D. (2016). Triumphant memory of the perpetrators: Putin’s politics of re-Stalinization. Communist and Post-Communist Studies, 49(1), 61–73. https://doi.org/10.1016/j.postcomstud.2015.12.007
Khodnev, A. (2018). The future of public history – what shall we teach perceptively: Russian situation. In M. Demantowsky (Ed.), Public History and School (1st ed., pp. 189–201). De Gruyter.
Miller, A. (2020). Russia and Europe in memory wars.
Shultz, D. (2023). Who controls the past controls the future: How Russia uses history for cognitive warfare.
Wijermars, M. (2020). Memory politics in contemporary Russia: Television, cinema and the state. Routledge. https://doi.org/10.4324/9781351007207
WoodrowWilsonCenter [@WoodrowWilsonCenter]. (n.d.). After the gulag: A history of memory in Russia’s far north. Youtube. Retrieved December 11, 2024, from https://www.youtube.com/watch?v=hRgAcRU8WkQ
Щербакова, А. (2024, December 10). ВКремлевысказалисьобидееубратьСоловецкийкаменьсЛубянки. Lenta.ru. https://lenta.ru/news/2024/12/10/v-kremle-vyskazalis-ob-idee-ubrat-solovetskiy-kamen-s-lubyanki/