Le sanzioni statunitensi hanno costretto il presidente serbo Vučić, già in crisi interna di consensi, a rivolgersi verso altri partner. Le opportunità e i rischi dei legami con l’Ungheria e l’Azerbaigian, mediatori energetici dell’area balcanica.
L’ultimo pacchetto di sanzioni USA contro la Russia approvato sotto l’amministrazione Biden ha colpito Gazprom Neft, uno dei bracci del gigante dell’energia russo Gazprom. Tra le sussidiarie di Gazprom Neft figura la Naftna industrija Srbije (NIS), il principale distributore di energia serbo, che controlla l’80% del mercato nazionale del carburante[1]. Mosca dovrà quindi ritirarsi dall’azienda, segnando un importante colpo alla sua influenza nella penisola balcanica.
La penetrazione russa nei mercati europei del carburante è un aspetto centrale delle relazioni tra Russia e Unione Europea, e la diversificazione dell’approvvigionamento energetico è divenuta una priorità politica per Bruxelles a partire dal 2022. La dipendenza dai carburanti russi assume un peso specifico ancora maggiore nei Paesi europei non membri dell’Unione, tra cui quelli dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia). La regione, ferma della “sala d’attesa” dell’adesione all’UE da vent’anni, è oggi un’arena di competizione tra gli interessi di potenze regionali e non, e Mosca gioca un ruolo da protagonista su diversi tavoli, specialmente nei Paesi di lingua e cultura slava.
Tra questi, la Serbia detiene il primato demografico ed economico. Pur essendo candidato UE dal 2012, Belgrado ha conservato importanti legami politici, economici e culturali con Mosca. Lungi dall’essere un satellite russo, il Paese ha adottato una postura internazionale “di equilibrio” tra le grandi potenze, erede a suo modo del terzomondismo della Jugoslavia di Tito. Dopo un decennio in cui il Paese è parso guardare a Occidente, il ritorno al potere dei partiti nazionalisti tra il 2008 e il 2012 ha rinvigorito un sentimento di fratellanza con la Russia, fondato sulla comunanza linguistica slava e l’identità religiosa cristiano-ortodossa.
La vicenda Gazprom – NIS
La dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, avvenuta nel 2008, fu la miccia di una drammatica crisi politica in Serbia. A Belgrado si formò un governo di coalizione, che per la prima volta dalla fine della Jugoslavia vide la partecipazione del Partito Socialista della Serbia (Socijalistička Partija Srbije – SPS), erede di Milošević.
Il partito, considerato dagli osservatori da tempo vicino a Mosca, espresse il ministro dell’Energia, Petar Škundrić, il quale fu regista della cessione alla russa Gazprom Neft del 51% delle azioni NIS per 400 milioni di euro. Fu allora che, per un capitale piuttosto basso[2], si decise il sostanziale controllo russo sul mercato energetico della più importante economia dei Balcani Occidentali.
La mossa fu precedente alla presa del potere di Aleksandar Vučić, che con il suo Partito Progressista Serbo (Srpska Napredna Stranka – SNS) domina la scena politica serba dal 2014, ma l’attuale presidente non ha mai voluto rivalutarla seriamente prima di oggi. Al contrario, nel 2022, quando le prime sanzioni occidentali all’industria energetica russa minacciavano di riversarsi su NIS, il governo serbo vendette un ulteriore 6,15% di quote a Gazprom, per evitare le sanzioni sulla società sorella Gazprom Neft.
Le decisioni del Tesoro americano costringono tuttavia il governo serbo a un radicale cambio di passo. Il 10 gennaio, in una conferenza stampa[3], Vučić ha sottolineato la serietà delle sanzioni, le più dure a partire dal 2022, e ha chiarito che gli Stati Uniti non avrebbero considerato sufficiente la cessione di parte delle quote per arrivare a un controllo del 49% da parte di Gazprom: il colosso russo deve essere completamente escluso dall’azienda energetica serba. Le tempistiche sono strette: entro il 22 febbraio deve essere firmato il nuovo accordo di proprietà, e l’ultima transazione finanziaria con Gazprom/Gazprom Neft deve avvenire entro il 12 marzo. A fronte del mancato raggiungimento di una soluzione, e del silenzio di Washington circa la possibilità di una proroga, le maggiori banche internazionali hanno interrotto l’erogazione di liquidità a NIS, riscattando i debiti della società per 100 milioni di euro[4].
Uno smacco per Mosca

Foto di rito della visita dell’incontro tra Djuric e Lavrov a Mosca, 17 febbario 2025.Foto: Vijesti.
Il Cremlino ha reagito con stizza attraverso il Ministro degli Esteri Lavrov, che ha parlato di un attacco occidentale contro l’amicizia tra Serbia e Russia e ha chiesto urgentemente consultazioni con Belgrado[5]. Il confronto è arrivato il 17 febbraio quando Marko Djuric, ministro degli Esteri serbo, ha incontrato a Mosca proprio l’omologo russo. I due si sono cimentati nei classici della diplomazia russo-serba: Lavrov ha lodato la politica estera “bilanciata e sovrana” di Belgrado, mentre Djuric ha espresso gratitudine per il supporto russo sulla questione del Kosovo (la cui indipendenza non è riconosciuta da Mosca), importante grimaldello di consenso interno per il SNS.
Andando oltre i convenevoli, Lavrov ha dichiarato alla TASS[6] che la cooperazione nel settore petrolifero tra i due Paesi sarebbe continuata nonostante i tentativi occidentali di ostacolarla, e ha ribadito l’affidabilità di Mosca come fornitore energetico, ricordando che l’85% del gas naturale impiegato in Serbia proviene dalla Russia. Djuric, ribadendo l’importanza del gas russo come fonte energetica, non si è invece speso circa ipotetici accordi nel settore petrolifero[7].
A conti fatti, l’incontro appare come un tentativo da entrambe le parti di salvare le apparenze dopo il colpo inferto dalle sanzioni, ma senza reali sviluppi di rilievo dal punto di vista commerciale. Seppure il primo mese di amministrazione Trump abbia ribaltato completamente lo stato delle relazioni tra Russia e Stati Uniti, Mosca e Belgrado non sembrano sperare in un colpo di spugna sulle sanzioni nell’immediato; la Serbia deve quindi trovare una soluzione in fretta per evitare una crisi energetica interna.
Concretamente, le sanzioni statunitensi minacciano infatti di bloccare la fragile infrastruttura energetica serba. Il petrolio viene importato nel Paese esclusivamente attraverso la rete di oleodotti croata Jadranski Naftovod (JANAF), che distribuisce petrolio dal porto adriatico di Omišalj verso Slovenia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Ungheria; tra questi, Belgrado non ha altre infrastrutture che trasportano il greggio alla raffineria di Pančevo, la sola del Paese.

Il sistema di oleodotti croati JANAF. Fonte: janaf.hr
JANAF ha annunciato che in caso di entrata in vigore delle sanzioni avrebbe cessato la vendita di petrolio a NIS. A ridosso della scadenza del termine imposto da Washington, a Vučić spetta l’arduo compito di trovare una soluzione soddisfacente per gli Stati Uniti senza sacrificare le buone relazioni con la Russia. Non a caso, in prima fila per la rilevazione di NIS figurano due aziende attualmente in affari con Mosca: l’azera SOCAR e l’ungherese MOL.
Dal Caucaso all’Adriatico
Con l’invasione su larga scala dell’Ucraina, i rapporti di Serbia e Azerbaigian con l’Unione Europea sono cambiati drasticamente: Baku è assurto a fornitore strategico di energia, e Belgrado è divenuta una sorvegliata speciale di Bruxelles per via degli stretti rapporti con la Russia, unico tra i partner dei Balcani Occidentali a non approvare le sanzioni contro Mosca. Sotto questi auspici, la partnership tra i due Paesi si è sviluppata rapidamente, soprattutto nel campo dell’energia. Nel novembre 2023, Belgrado ha acquistato[8] una fornitura annua di 400 milioni di gas azero a partire dal 2024.
La tanto decantata[9] amicizia è apparsa però incrinata dalla decisione del governo dell’Azerbaigian di sospendere la fornitura di gas alla Serbia, poche ore dopo l’annuncio delle nuove sanzioni USA. Lo stop al gas azero è stato comunicato da Vučić l’11 gennaio, citando una comunicazione dei “fratelli dell’Azerbaigian” circa un guasto tecnico allo stabilimento di Shah Deniz, per poi essere revocato dallo stesso presidente su X. Il dietrofront è probabilmente da attribuire alla fragile tenuta del consenso di Vučić, accerchiato dalle più grandi proteste della storia del Paese[10], ma non è da escludere che nasca da un più complesso gioco di potere che coinvolge Russia e Azerbaigian in merito alla distribuzione di energia nell’Europa meridionale.

Monumento all’ex presidente azero Heydar Aliyev nel Tasmajdan Park, Belgrado. Foto: report.az
Oggi come nel 2022, l’Azerbaigian difficilmente può tenere testa alla domanda europea senza integrare le estrazioni domestiche con importazioni da altri Paesi produttori – primo tra tutti, la Russia. Per questo motivo, l’iniziale passo indietro di Baku seguito alla notizia delle sanzioni USA su Gazprom è stato letto da alcuni analisti come una longa manus russa volta ad ammonire i serbi: senza di me, non esistono altre partnership ad Est.
Comunque siano andate le cose, il ban statunitense su Gazprom toglie un buon grado di autonomia al Cremlino nella sua proiezione geopolitica in Europa, costringendo Mosca ad affidarsi a intermediari per l’esercizio della propria influenza tramite le esportazioni energetiche. Non a caso, Lavrov ha escluso categoricamente la possibilità di una nazionalizzazione di NIS, che toglierebbe a Mosca ancora più potere contrattuale verso Belgrado. La mediazione di SOCAR frammenterebbe invece l’autonomia decisionale serba a vantaggio del Cremlino; un ruolo simile potrebbe essere svolto da Budapest, primo alleato di Belgrado dentro l’Unione e notoriamente recalcitrante alla politica estera dello schieramento euro-atlantico.
La via ungherese
Le speculazioni sulla costruzione di un nuovo oleodotto tra Serbia e Ungheria risalgono almeno al 2022, e hanno conosciuto nuova linfa nell’estate 2024 grazie anche a un’interesse cinese[11] nel progetto. Da parte serba, si tratterebbe di un modo per diversificare la propria dipendenza dall’oleodotto Adria via JANAF, creando un collegamento diretto con il sistema russo Druzhba, esente dalle sanzioni UE, attraverso il terminale ungherese di Algyő, presso Szeged. L’oleodotto Algyő-Novi Sad, annunciato a più riprese, non ha mai visto l’inizio dei lavori, ma la vicenda NIS potrebbe offrire a Budapest una sponda per rilanciare il proprio ruolo nel mercato energetico serbo. Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, incontrando la ministra dell’Energia serba Dubravka Djedovic Handanovic a Belgrado, ha espresso supporto alla Serbia dichiarando che MOL – che opera già nel Paese – sarebbe pronta a raddoppiare la propria offerta nel caso in cui le sanzioni entrassero in vigore, arrivando a definire quella di Biden una “ vendetta politica” contro l’Europa centrale[12].

Mappa dei principali oleodotti nell’Europa centro-orientali. Fonte: OSW.
Budapest cerca quindi di posizionarsi politicamente per ereditare il ruolo di intermediario tra Russia e Balcani nella distribuzione dell’energia. Escludendo la possibilità, invisa a Mosca, di una completa nazionalizzazione di NIS, MOL appare in prima linea nella competizione per il rilevamento della compagnia energetica serba: più digeribile della SOCAR agli occhi americani, è abbastanza autonoma dai diktat di Bruxelles per avere il via libera di Mosca.
La Russia non è stata certo esautorata dal mercato energetico dei Balcani, ma le nuove sanzioni ne hanno drasticamente ridotto l’influenza su Belgrado, togliendole il controllo diretto di una delle aziende più floride del Paese. La leadership di Vučić, duramente contestata dall’interno, ne esce ulteriormente indebolita, mentre l’Ungheria e in misura minore l’Azerbaigian acquistano rilevanza come mediatori tra il polo atlantico e quello russo dell’Eurasia.
[1]https://www.osw.waw.pl/en/publikacje/analyses/2025-01-15/us-sanctions-targeting-russian-energy-assets-serbia
[2] https://www.intellinews.com/serbia-plans-to-buy-out-russian-stake-in-nis-following-us-sanctions-360937/?source=serbia
[3]https://www.tanjug.rs/srbija/politika/133336/Vučić-veoma-teske-sankcije-nis-u-sad-trazi-potpuni-izlazak-ruskog-vlasnistva/vest
[4] https://biznis.rs/vesti/srbija/banke-zaustavljaju-novcane-transakcije-nis-u/
[5] https://n1info.rs/svet/lavrov-rusija-zatrazila-hitne-konsultacije-sa-srbijom-zbog-sankcija-nis-u/
[6] https://tass.com/politics/1914393
[7] https://n1info.rs/english/news/lavrov-to-djuric-moscow-appreciates-belgrade-s-foreign-policy/
[8]https://www.reuters.com/business/energy/serbia-signs-gas-supply-deal-with-azerbaijan-2023-11-15/
[9] https://www.srbija.gov.rs/vest/en/215349/exceptionally-good-friendly-relations-between-serbia-azerbaijan.php
[10] https://www.reuters.com/world/europe/thousands-rally-serbia-over-deadly-railway-disaster-2025-02-15/
[11]https://www.spglobal.com/commodity-insights/en/news-research/latest-news/crude-oil/060524-hungary-serbia-eye-china-role-in-druzhba-oil-pipeline-extension-minister
[12] https://www.tanjug.rs/english/politics/141012/djedovic-handanovic-hungary-supported-serbia-on-nis-issue/vest