Il presidente ucraino è tutto fuorché un uomo capitato alla guida dell’Ucraina per caso. La sua parabola ci dice molto della transizione post sovietica, ma poco di come la vulgata vorrebbe dipingerlo – eroe o clown senz’appello. Un’anticipazione della biografia “Zelens’kyj, l’uomo e la maschera”, pubblicata da Meltemi, attraverso un’intervista al suo autore. A cura di Pietro Figuera e Fabiola Bono.
Pietro Figuera e Fabiola Bono – Partiamo da una domanda apparentemente banale. Perché hai scelto di scrivere di Zelens’kyj? Il momento della sua massima popolarità (con conseguente proliferazione della pubblicistica) pare essersi esaurito da un paio d’anni o quasi, eccezion fatta per il clamore di qualche giorno fa, mentre ora non tutti sono disposti a scommettere sulla sua longevità politica.
Fulvio Scaglione – “Ho deciso di scrivere questo libro perché di Zelens’kyj si parlava troppo… poco. So che sembra paradossale. Ma la realtà è che di lui si è parlato come di una curiosità quando è diventato presidente, poi si è taciuto per un po’, salvo riscoprirlo quando decise di non fuggire davanti all’invasione russa, il 24 febbraio del 2022. E in quel momento Zelens’kyj fu surgelato per sempre in alcuni luoghi comuni, magari rispondenti alla realtà ma pur sempre tali: l’eroe, l’uomo che combatte per noi, ecc. ecc. Io mi dicevo: tutto qui? Possibile che non ci sia altro da dire su un uomo che è diventato protagonista di fondamentali pagine di storia? Avevo ragione, perché la storia di Zelens’kyj è straordinariamente interessante. Più banalmente, dal punto di vista personale: per fare qualche esempio, un uomo che a 16 anni fonda la sua prima compagnia teatrale, a 20-21 è già un attore famosissimo in tutta l’ex Urss, a 30 è milionario in dollari. Meno banalmente: la sua vicenda, dalla nascita nella provincia di Krivyj Rih alla presidenza, è in corrispondenza perfetta con quella dell’Ucraina post-sovietica”.
PFFB – La narrativa italiana su Zelens’kyj è sclerotizzata, come giustamente denunci nel tuo libro. Come uscire dalla logica delle fazioni contrapposte? Quali elementi possono aiutarci a tracciare un giudizio più equilibrato della sua figura?
FS – “L’immagine di Zelens’kyj è bloccata dalla speculazione politica, dalla necessità (ucraina e occidentale) di trovare un eroe da contrapporre al villano della storia, Vladimir Putin. Ma anche dal decadimento dell’intelligencija e del giornalismo nostrani, che ormai riescono a raccontare solo trasformando tutto in Coppi e Bartali, Milan-Inter e così via. Non a caso in questi tre anni di guerra abbiamo sentito sciocchezze di ogni genere, a cominciare dalla Von der Leyen che già a metà 2022 proclamava, tra gli applausi, che l’esercito russo usava i microchip delle lavatrici per far volare i missili e che l’industria militare russa era a pezzi. La stessa Von der Leyen che ora chiede di stanziare 800 miliardi perché non abbiamo abbastanza armi… Intellettuali e giornalisti, in molti casi, si sono schiacciati sulla modalità comunicativa dei social dove, in 200 battute, risolvi qualunque problema. Ma la realtà è diversa. E Zelens’kyj, ribadisco, osservato più da vicino e con più cura, non è né buono né cattivo: è solo un tipico personaggio russo e ucraino degli anni della transizione da Urss a Russia. E come tale va analizzato”.
PFFB – Hai scelto di sottotitolare il tuo libro “L’uomo e la maschera”. Ci inviti così a una domanda secca: quale delle due componenti prevale nel presidente ucraino?
FS – “La maschera gliel’abbiamo messa noi per le ragioni di cui si diceva. In lui, nel suo modo di agire e di gestire il potere, prevale senza dubbio l’uomo. C’è una profonda continuità tra lo Zelens’kyj delle tre fasi: prima della presidenza, durante la presidenza, dopo l’invasione russa. Il personaggio, a parte i talenti di performer e imprenditore dello spettacolo (Kvartal 95, la sua casa di produzione, arriva ad avere 300 dipendenti), è caratterizzato da un mix di intelligenza e furbizia che lo rende capace di manovre anche audaci. Per esempio, di continuare a lavorare con oligarchi, produttori e funzionari russi (quelli della Tv di Stato, per esempio), anche quando l’Ucraina vive la Rivoluzione arancione (2005) e l’Euromaidan (2014): il suo ultimo film prodotto e girato in Russia risale addirittura al 2018! Da presidente, Zelens’kyj si ritrova a fine 2021 con un rating a pezzi e con gli istituti sociologici di Kiev che già indagano su eventuali candidati per elezioni presidenziali anticipate, e lui “inventa” (nel senso che di prove certe non ce ne sono) un complotto russo per ucciderlo, che lo aiuta a recuperare. Poi la sua capacità di reggere all’invasione russa, e alla responsabilità politica internazionale, è sotto gli occhi di tutti. Lo ha scoperto di recente anche Donald Trump: si aspettava che Zelens’kyj andasse alla Casa Bianca per firmare il famoso accordo sulle terre rare e invece ha scoperto che Zelens’kyj era lì per trattare ancora”.
PFFB – Ma in definitiva, Zelens’kyj può essere definito un politico?
FS – “È più che tempo di liberarsi dalla convinzione che Zelens’kyj sia un comico prestato alla politica, un divo assurto alla presidenza per caso, perché trascinato dal successo. Zelens’kyj fa registrare un partito presso il ministero della Giustizia, dall’amico d’infanzia Ivan Budanov (che poi nominerà capo dei servizi segreti), già nel 2016. Partito che nel 2017, sempre presso il ministero, viene rinominato Servo del popolo. Quindi Zelens’kyj, e il suo mentore di allora, l’oligarca Ihor Kolomoisky, occhieggiavano alla politica già tre anni prima dell’elezione fatale. E vedendo Zelens’kyj all’opera si capisce bene perché”.

PFFB – Nel libro ti soffermi sulle origini composite di Zelens’kyj, partendo dalla giovinezza trascorsa sotto il regime sovietico. Perché è importante analizzare questo periodo? Cosa ci aiuta a capire del leader ucraino o del suo Paese?
FS – “Intanto, è interessante la famiglia di Zelens’kyj. Il nonno e tre suoi fratelli vanno a combattere contro i nazisti e torna solo lui, che diventa un pezzo grosso della polizia di Krivyj Rih. I genitori di Zelens’kyj sono ingegneri e il padre lavora per molti anni in un progetto minerario segreto in Mongolia. Nonostante l’origine ebrea, non v’è cenno di discriminazione e, peraltro, nemmeno di dissenso. Zelens’kyj, insomma, cresce in una famiglia sovietica “bene”, e dotata di relazioni, visto che lui, che ha anche doti atletiche, non riceve mai la cartolina precetto. E poi Krivyj Rih, la città dove lui nasce e cresce, è proprio nel cuore di quel fenomeno di doppia anima, russa e ucraina, di cui Zelens’kyj è il prototipo. Come tutta l’Ucraina, Zelens’kyj è misto. Ma a un certo punto decide di essere solo ucraino”.
PFFB – Quando si parla di Zelens’kyj aleggia sempre il confronto con il suo omologo (anzi, antagonista) Vladimir Putin. Ed è in un certo senso inevitabile, sia per la guerra in corso che per la personalizzazione che questa ha assunto nel dibattito corrente. Ecco, partirei da queste considerazioni per affrontare il nodo del “leaderismo”. Quanto conta la personalità e l’esperienza di Zelens’kyj nell’attuale Ucraina, e in particolare nelle scelte dirimenti relative al conflitto? Il suo peso è maggiore o inferiore rispetto a quello del leader del Cremlino?
FS – “Zelens’kyj e Putin, a dispetto della differenza d’età, hanno più punti in comune di quanto si pensi. La famiglia perfettamente sovietica, per esempio. Aver fatto carriera, sia pure in ambiti diversi (Putin nell’amministrazione comunale di San Pietroburgo prima di arrivare al Cremlino, Zelens’kyj nello spettacolo), nel periodo della prima transizione post-sovietica. Essere arrivati al vertice politico per le capacità personali ma, in primo luogo, per essere stati “scelti”: Putin viene trasferito a Mosca e inserito negli alti ranghi alla scadenza del mandato di vice-sindaco di San Pietroburgo, Zelens’kyj viene “inventato” come candidato alla presidenza dai circoli oligarchici intorno a Kolomoisky. Credo che oggi Zelens’kyj “pesi” meno di Putin perché il panorama ucraino, per forza di cose, è più instabile di quello russo, ormai plasmato da decenni di putinismo. Ma la sua personalità, e anche i suoi interessi, ha contato molto in questi anni, pure nella gestione del conflitto. Un esempio tra tutti: la rimozione dal comando del generale Zalužnyj, che aveva l’unica colpa di essere più popolare di lui”.
PFFB – Il gradimento politico degli ucraini verso Zelens’kyj ha subito mutazioni molto importanti, in questi anni. Prima la straordinaria vittoria elettorale (2019), poi il forte calo di consensi alla prova della sua amministrazione, infine il boom legato alla sua coraggiosa scelta di restare a Kiev nell’inverno del 2022, a dispetto delle offerte americane. Montagne russe, verrebbe da dire con una battuta infelice. Qual è il reale gradimento di Zelens’kyj oggi, tra gli ucraini? Possiamo ancora aspettarci sorprese, in un senso o nell’altro?
FS – “Secondo i più recenti sondaggi, il 52% degli ucraini esprime ancora fiducia in Zelens’kyj. Bisogna però fare attenzione a interpretare certi dati. L’Istituto Gallup ha rilevato alla fine del 2024 che un’analoga percentuale di ucraini era pronta anche a una cessione di territori pur di avere la pace subito. Come si conciliano le due cose? Credo che Zelens’kyj sappia che la situazione politica ucraina, quindi anche la sua personale, resterà congelata finché dura la guerra. Per questo l’intimazione trumpiana a tenere elezioni entro l’anno era una vera tagliola, per lui. Quando ci sarà una tregua o addirittura una pace, tutto si rimetterà in moto. E solo in quel momento appariranno i veri competitor di Zelens’kyj”.
PFFB – Molto, se non tutto, dipende dal percorso delle famigerate trattative. A quelle già difficili con la Russia si sono aggiunte le pesanti richieste americane, che hanno visto anche uno scontro alla Casa Bianca con Trump. A tuo avviso Zelens’kyj è pronto a una simile fase? O la sua immagine resta ancora troppo legata a quella del condottiero bellico, dunque a un conflitto senza fine?
FS – “Credo che Zelens’kyj sappia gestire molto bene la propria immagine, che ne sia padrone e non schiavo. Alle trattative è legato il suo futuro politico e credo, anche se non vorrei essere melodrammatico, pure quello suo personale. Zelens’kyj per anni ha sostenuto che per l’Ucraina non vi poteva essere altro che la vittoria sul campo e il recupero dei territori occupati dalla Russia. Nell’autunno del 2022 i suoi uomini dicevano che le successive vacanze estive le avrebbero passate in Crimea… Ma gli eventi sono andati in direzione ben diversa. Quindi Zelens’kyj può accettare una trattativa solo a patto di uscirne con un risultato concreto, con qualcosa in mano che gli permetta di dire agli ucraini: ecco, abbiamo vinto! Un obiettivo che, al momento, pare assai difficile da conseguire. Il che spiega perché Zelens’kyj sia così sfuggente rispetto alle direttive che Trump cerca di imporgli, e giochi così astutamente di sponda con il riarmo dell’Unione Europea”.
Pietro Figuera e Fabiola Bono
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