La corsa verso il 3 novembre 2020, giorno delle elezioni presidenziali negli USA, è ancora lunga e passa obbligatoriamente dal banco di prova delle primarie. Se da un lato l’attuale presidente Donald Trump pare l’unico destinato a dominare quelle repubblicane, ben più incerte sembrano quelle democratiche, che in queste primissime battute vedono un testa a testa tra due outsider, Bernie Sanders e Pete Buttigieg. Indietro restano il favorito Joe Biden, l’ex-sindaco di New York Michael Bloomberg e gli altri candidati, ma la dimensione limitata dei voti finora espressi (al 23 febbraio si è votato solamente in tre Stati: Iowa, New Hampshire, Nevada) non consente di escludere alcun possibile esito.
Così come nel resto del mondo, il processo di designazione dello sfidante di Donald Trump desta l’attenzione anche dei media, dell’élite politica e dell’opinione pubblica della Federazione russa, che non restano di certo indifferenti alle dinamiche che porteranno all’elezione (o alla riconferma) della “figura politica più potente del mondo“.
Generalmente, gli Stati Uniti e il loro massimo rappresentante non incarnano un’immagine positiva nella mentalità russa, essenzialmente per ragioni e rivalità politiche, storiche ed attuali. Tuttavia, la diffidenza o l’astio nella società russa sono oggi più edulcorati di quanto si possa pensare. Nella più recente delle bimestrali indagini sulle percezioni dei rapporti internazionali da parte dei cittadini russi fatta dal Levada Centr (il più importante centro di analisi e ricerca sociale russo), il 42% dell’opinione pubblica ritiene di approcciarsi agli USA “molto/abbastanza bene“, mentre il 46% degli intervistati ha risposto in maniera contraria (“piuttosto/molto male“). Un risultato sostanzialmente equilibrato.
Molto interessante è la copertura data dalle principali testate giornalistiche, alcune delle quali offrono resoconti dettagliati ed interessanti punti di vista sulla campagna elettorale statunitense, in particolare sulla competizione interna al Partito democratico. Il tema sotto la lente d’ingrandimento dei media russi è quello della politica estera, quindi i programmi, le promesse, gli slogan che i candidati avanzano durante questa campagna, con un occhio di riguardo alle strategie e ai rapporti tra Washington e Mosca.
Tra i primi ad occuparsene Rossijskaja Gazeta, che successivamente al dibattito tra i democratici a Des Moines (Iowa) del 14 gennaio (l’ultimo prima del caucus nello Stato) si è concentrata sulle posizioni dei candidati in termini di politica internazionale. Un tema che, come ricorda il quotidiano, non è tradizionalmente tra i principali per l’elettore americano, ma che data la forte escalation della tensione con l’Iran ha occupato una parte significativa della trasmissione. La Russia viene citata tra le numerose critiche rivolte all’agenda internazionale di Trump, il cui ritiro dal trattato START rappresenterebbe un grave rischio per la sicurezza degli USA.
L’agenzia statale TASS ha un’intera sezione del suo sito dedicata alle presidenziali americane del 2020. In un’interessante rassegna dei candidati (“Breve guida ai possibili sfidanti di Trump nel 2020“), la piattaforma d’informazione esamina nel dettaglio proposte e opportunità per i vari contendenti, tanto nel campo democratico quanto in quello, senza sfida, repubblicano. Da notare come l’articolo concentri buona parte della sua analisi sulla candidata democratica Elizabeth Warren e sulla sua offerta politica, vista come potenziale sfidante del favorito Joe Biden insieme a Bernie Sanders. Ampio spazio dedicato anche a Michael Bloomberg, di cui vengono ripercorsi i trascorsi politici e l’esperienza come sindaco di New York. Complessivamente, TASS mantiene un profilo neutrale e privo di retorica, limitandosi ad una completa disamina degli attori in campo.
Sulla stessa linea si mantiene Kommersant. “Le elezioni per distacco” titola l’articolo di Ivan Lebedev, che rimarca la sempre più profonda distanza e polarizzazione dell’elettorato rosso e blu d’America. Il contributo affronta l’alta indecisione che impera nel Partito democratico, nonostante i sondaggi vedano Biden di fronte a Sanders, Warren e Buttigieg di oltre 10/20 punti percentuali. Favori dei pronostici che tuttavia, devono fare i conti con le spese della campagna elettorale, che vedrebbero l’ex vicepresidente in difficoltà rispetto agli avversari, colpa di un avvio troppo “spendaccione” rispetto ai più parsimoniosi avversari. Fuori categoria Bloomberg, il cui sterminato patrimonio gli consente investimenti faraonici. Tuttavia, come ricorda Lebedev, i numerosi cambi di casacca fatti dal magnate in passato non sarebbero molto ben visti dall’elettorato Dem, relegandolo al ruolo di outsider.
Anche qui viene offerto un focus sull’eventuale evoluzione dei rapporti russo-americani. Il giornalista constata con rammarico l’unanimità delle posizioni democratiche, convinte che Mosca sia intervenuta alle elezioni americane, sia aggressiva sulla scena internazionale e meriti una punizione, anche attraverso le sanzioni. Allo stesso tempo, però, uno spiraglio per la cooperazione sembra restare aperto, soprattutto in merito all’estensione del trattato START.
Il 42% dell’opinione pubblica russa ritiene di approcciarsi agli USA “molto/abbastanza bene“, mentre il 46% degli intervistati ha risposto in maniera contraria (“piuttosto/molto male“). Un risultato sostanzialmente equilibrato.
Cupcake Ipsum, 2015
Commenti ben più sbilanciati si possono trovare in altre fonti, per loro natura chiaramente orientate e spesso discutibili, come Sputnik, ma anche più autorevoli, come RIA Novosti, dove il columnist Ivan Danilov non esita ad apostrofare Bloomberg come “il miliardario che ha definito la Russia il nemico n. 1“. Secondo il giornalista, una vittoria del tycoon democratico prospetterebbe tempi difficilissimi per le relazioni USA-Russia, in confronto alle quali i rapporti durante l'”ultimo Obama” sembrerebbero un disgelo. Bloomberg rappresenterebbe il candidato ideale per i sostenitori dello scontro con Mosca, il cui leader Vladimir Putin viene considerato dal politico statunitense come “un autoritario che ha annesso i territori dei suoi vicini, destabilizzato gli alleati statunitensi nell’Europa orientale, contribuito ai crimini di guerra in Siria e intervenuto nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016“. Il giudizio complessivo sulla competizione elettorale è anch’esso piuttosto drastico: il Partito democratico avrebbe candidati troppo deboli, il cui peso risicato spianerebbe la strada al secondo mandato di Trump. Ben più velenoso il ritratto di Biden, il cui scarso appeal e le ricorrenti gaffe sembrano indicare più “l’avanzamento dell’età che l’intelletto acuto“.
Dito puntato contro i democratici anche per RT, dove il politologo Dmitrij Drobnickij espone i tre errori del Partito democratico USA. Al primo posto, l’assenza di contenuti nella discussione politica, incentrata esclusivamente sulle strategie per rendere l’assistenza sanitaria gratuita e sulle critiche a 360° a Trump; non una parola sulla politica internazionale, né sull’economia o sulla sicurezza nazionale. Secondo errore: “l’atteggiamento vegetariano” nei confronti di Biden, per cui gli altri candidati non lo avrebbero attaccato pur essendo sommerso da scandali e sfondoni, rispondendo con un silenzio quasi ossequioso. Terzo errore: l’utilizzo strumentale dell’impeachment per tagliare fuori Trump ancora prima del voto, strategia perseguita da tutti i contendenti (ad eccezione di Tulsi Gabbard, come specificato nell’editoriale di Drobnickij), ricca di contraddizioni e portatrice di insuccesso. Insomma, anche in questo caso Donald Trump sembrerebbe avere la strada spianata, sia per assenza di rivali interni, sia per incapacità degli avversari.
Infine, uno sguardo ai centri di ricerca e studi internazionali della Federazione. Tra questi, si segnala un interessante contributo del RIAC, Russian Internatonal Affairs Council, che elenca le linee di politica estera dei candidati presidenziali mantenendo un profilo prettamente accademico e neutrale. Quest’ultimo resoconto, molto dettagliato, spazia dall’intransigenza, se non vero e proprio antagonismo, riconosciuto a Amy Klobuchar (fortemente legata all’Ucraina), Joe Biden, Elizabeth Warren (aspre sanzioni ed indipendenza energetica per gli alleati NATO) alla relativa distensione o cooperazione possibile con Sanders (nonostante riconosca le interferenze russe nelle precedenti elezioni) e, soprattutto, con Tulsi Gabbard, che apertamente dichiara la rivalità con la Russia come dannosa per la stessa America.
Le elezioni presidenziali americane del 2020 e la tappa precedente delle primarie sembrano, quindi, suscitare le stesse impressioni nei media, organi d’informazione e ricerca russi. L’idea è quella di un Partito democratico piuttosto debole, rappresentato da candidati poco carismatici, destinato per ora ad una lotta impari con l’attuale presidente Donald Trump, in cerca della sua riconferma. Inoltre, nei democratici viene vista molta più ostilità nei confronti del Cremlino e prospettive potenzialmente pericolose nei rapporti tra Washington e Mosca. Le ambiguità che circondano alcuni dei Dem (Biden e Bloomberg i più bersagliati) sembrano infine spianare la strada al tycoon repubblicano, che ha dalla sua parte le positive performance economiche e il decisionismo sullo scenario globale, soprattutto contro la Cina. L’unica arma democratica, ormai usurata e sempre meno funzionale, è quella dell’impeachment e delle critiche allo stile presidenziale, ma l’immagine che si proietta all’esterno è quello di contendenti senza vere proposte o idee da contraltare al “Keep America Great“.