Il circondario dell’Estremo Oriente russo è il più grande degli otto territori federali della Russia. È composto da quattro province (oblast‘), una delle quali autonoma, quattro kraj (territori), un okrug autonomo (distretto) e due Repubbliche, che ospitano una vasta gamma di paesaggi e biomi, dalle foreste temperate della costa del Pacifico alla tundra dell’estremo nord fino alle migliaia di vulcani della Kamčatka. Il distretto copre il 41% del territorio del paese ma ospita appena il 6% della popolazione (8.188.623 abitanti nel 2019). Di questi, la maggior parte è concentrata nelle regioni meridionali, al confine con la Cina e la Mongolia. Di conseguenza, la densità si attesta a poco meno di una persona per km2 , rendendo l’Estremo Oriente russo una delle aree più scarsamente popolate del globo.
La popolazione siberiana è frutto dell‘integrazione di molteplici componenti umane: dagli avventurieri, come erano i cosacchi di Ermak ai pionieri siberiani, dai missionari cristiani ai vecchi credenti in fuga dalle persecuzioni, dai primi mercanti fino ai delinquenti spediti in Siberia e ai contadini arrivati in seguito alla riforma di Stolypin del 1906-11, senza contare i fanatici dell’era sovietica, inviati in missione dal Komsomol per organizzare brigate di lavoro o campi di prigionia. Nasce così una combinazione di nazionalità, tra le quali fanno da padrone quelle slave (russi, ucraini e bielorussi principalmente). Le componente demografica indigena, che continua a perpetuare stili di vita tradizionali (Evenki, Orochon, Nanai, Ulchi, Nivkhi, Tazy, ecc.) rappresenta un esiguo 1,85% della popolazione, di cui un terzo vive nelle città. La maggioranza vive in piccole comunità lungo la fascia media e alta del fiume Bikin, nella valle di Samarga, nel bacino del fiume Khor e nelle aree boreali montuose settentrionali delle province di Khabarovsk e Amur. Ad alcuni gruppi etnici è stata concessa una sorta di autonomia culturale in determinate unità amministrative. Nonostante gli sforzi dei governi federali e regionali, i loro standard di vita rimangono inferiori a quelli della maggior parte degli altri gruppi etnici. Il pericolo maggiore nei confronti della conservazione dello stile di vita e del futuro di queste minoranze giunge non solo dallo scarso bacino demografico, ma anche dalle politiche di russificazione imposte dal governo centrale, oltre al cambiamento climatico che sta incidendo sullo loro stile di vita tradizionale.
La Repubblica di Sacha (Jacuzia) è la più estesa unità amministrativa del distretto e rappresenta un enorme forziere energetico, vitale per l’economia della Federazione, fortemente dipendente dall’estrazione e lavorazione materie prime. I due gruppi indigeni titolari (Sacha e Jakuti) precedentemente in minoranza alla luce di politiche di russificazione risalenti all’epoca sovietica, rappresentano ora la maggioranza della popolazione, dando vita a una pressione politica autonomista sulle autorità centrali di Mosca. Tra il 2002 e il 2010 la popolazione etnicamente russa si è ridotta del 9,5%, mentre i Sacha sono aumentati dell’8%, arrivando a costituire il 49,9% della popolazione.
L’Oblast autonomo ebraico nasce come tentativo, in gran parte fallito, da parte dell’Unione Sovietica di creare un’utopia ebraica socialista per questa angariata minoranza, un “paradiso” ebraico sulle rive del fiume Amur da contrapporre nell’immaginario all’oramai ingombrante propaganda sionista. Nonostante la denominazione, a differenza di altre repubbliche etniche all’interno della vasta Federazione, la popolazione ebraica di questa peculiare regione non è mai arrivata a rappresentare la maggioranza e oggi rappresenta una componente demografica percentualmente irrilevante, circa l’1%.
La Repubblica di Buriazia, precedentemente parte del Distretto centrale siberiano, è stata recentemente (2018) accorpata a quello dell’Estremo Oriente . Parimenti alla confinante Repubblica di Tuva, ospita una popolazione di etnia mongola, i Buriati, capace di mantenere intatto il folklore e la religione buddhista, complice i contatti costanti con la confinante Mongolia e la resilienza di questo particolare popolo, temprato da secoli di confronto e mediazione con le autorità di Mosca.
Al di là della preponderanza demografica della popolazione di etnia russa e la convivenza tra diversi gruppi etnici, è presente, attiva e in crescita organizzativa la minaccia del separatismo che si caratterizza in maniera multiforme. Se certamente all’interno dell’opinione pubblica delle etnie non russe e dei gruppi indigeni restano attive istanze separatiste, la volontà di cercare maggiore autonomia da Mosca si è manifestata in un fenomeno simultaneamente in grado di attecchire anche tra la maggioranza russofona e slava. Il fenomeno separatista non è una novità all’interno di una costruzione statuale come quella della Federazione Russa, erede del multiculturale impero zarista e sopravvissuta alla pluridecennale esperienza sovietica. La Federazione, se da un lato giuridicamente garantisce autonomia alle componenti minoritarie etnoreligiose, porta avanti (in particolare dall’ascesa di Vladimir Putin) una costante centralizzazione della sfera politica ed economica, che in diverse occasioni non ha mancato di suscitare il malumore e le proteste di piazza delle neglette periferie.
La costante insurrezionale del mosaico caucasico e le istanze autonomiste dei Tatari del Volga rappresentano eclatanti esempi. Per quanto riguarda l’Estremo Oriente russo e la Siberia, già nel diciannovesimo secolo, tra intellettuali ed accademici delle università e circoli siberiani, andarono sviluppandosi embrionali istanze separatiste per rispondere a quello che localmente veniva percepito come un’imposizione di un governo centrale, frutto di un effettivo processo di colonizzazione. Questi attivisti si spinsero a condannare il governo centrale per aver portato avanti un processo di costante spoliazione delle ricchezze naturali della Siberia, lasciando agli autoctoni scarse possibilità di poter cogliere i frutti di questi processi economici, oltre ad aver apportato notevoli cambiamenti al fragile equilibrio naturale della macroregione, inquinando il suolo e le falde acquifere. La mancanza di infrastrutture in grado di compensare la distanza tra il vastissimo territorio della Russia, la costante sottorappresentazione delle istanze regionali e l’accentramento sempre più profondo imposto da parte della troppo lontana Mosca restano, ancora oggi, temi in grado di suscitare malumore.
Consapevole di queste spinte, il governo centrale si è costantemente posto in aperta ostilità verso ogni istanza separatista o autonomista. Accantonate le concessioni federative portate avanti dall’amministrazione El’cin (“Prendetevi tutta la sovranità che vi sentite“), con l’ascesa al potere di Putin si è potuto assistere non solo all’accentramento del potere centrale e verticista, ma anche a un approccio brutale e privo di compromessi nei confronti di ogni proposta di negoziazione. Le due aspre guerre combattute in Cecenia dall’esercito russo rappresentano il severo monito per le leadership regionali intenzionate a sposare iniziative analoghe.
Nel campo della giurisprudenza l’Articolo 280.1 del Codice penale prevede fino a 5 anni di carcere per la diffusione di idee separatiste tramite media, organizzazioni o singole personalità, con l’aggravante dell’utilizzo di social network. Sì, le repubbliche hanno diritto alla sovranità, ma ciò non implica in alcun modo il diritto di recedere dalla Federazione. È illegale persino proporre referendum e chiedere la secessione dalla Federazione, anche con mezzi pacifici. È impossibile, infine, mettere in discussione la legittimità delle decisioni prese dalle autorità russe o presentare ricorso contro una decisione di un legislatore regionale o federale. L’ostilità del Cremlino nei confronti di possibili iniziative della periferia non può che suscitare, inoltre, un pizzico di ironia, in quanto la promozione del separatismo è sempre stata e ancora oggi rimane uno strumento prioritario all’interno della dottrina geopolitica del Cremlino (Abkhazia, Ossezia del Sud, Transnistria…
Il peggioramento delle relazioni tra il centro e la periferia, tuttavia, al momento non dovrebbe portare al radicamento sul territorio di movimenti in grado di perorare la causa secessionista e spingere una regione a finalizzare un percorso indipendentista, soprattutto quelle della macroregione siberiana. Perché ciò accada, dovrebbe palesarsi e legittimarsi una determinata forza politica con un appeal sufficiente da capitalizzare a livello elettorale, ad oggi inesistente. Un altro fattore che rende difficile una futura secessione della Russia siberiana è dato dal fatto che la quota di popolazione russa all’interno della stragrande maggioranza degli organismi federali è demograficamente molto forte (seppur in calo), mentre le repubbliche dipendono fortemente da un potere centrale indispensabile e perfettamente in grado di cooptarne le elites. Il peculiare sistema politico russo, che prevede la possibilità che il Presidente della Federazione possa disporre a suo piacimento della carriera di un governatore regionale, promuovendone la causa o sostituendo la sua ingombranza, sancisce profonde difficoltà organizzative. Il dominio al momento incontrastato di Russia Unita rappresenta l’esempio perfetto di un sistema politico fortemente dominato da dinamiche clientelari.