L’Asia Centrale è sempre stata una terra variegata e ognuna delle cinque repubbliche che la compongono ha una storia unica e a sé. Ma c’è qualcosa che durante la pandemia da coronavirus le accomuna tutte: la tendenza dei rispettivi governi a voler far credere che la realtà sia quella che loro raccontano.
Ad oggi, i casi di coronavirus accertati sono pochi rispetto alla popolazione e in alcuni posti sembrano essere nulli. Tutti gli Stati hanno adottato delle misure restrittive per evitare il diffondersi della pandemia, seppur di diversa entità, mentre la popolazione teme le ripercussioni economiche; si può già assistere alla presenza di scaffali vuoti, un aumento dei prezzi e persone che hanno perso il proprio lavoro. Questo è dovuto anche alla chiusura delle frontiere e a una forte limitazione degli spostamenti di merci e lavoratori, con la produzione interna che spesso non è sufficiente per soddisfare le richieste dei cittadini. Ma la risposta all’emergenza non è stata univoca. Vediamo la situazione nel dettaglio in ognuna delle cinque repubbliche.
Kazakhstan
È stato il primo Paese a confermare casi ufficiali di coronavirus lo scorso 13 marzo; si tratta di due cittadini kazaki di rientro dall’Europa. Misure preventive erano già state prese il giorno prima, a seguito della dichiarazione di pandemia da parte dell’OMS, e a partire dal 16 marzo è stato dichiarato lo stato d’emergenza.
Ci sono diverse questioni poco chiare sulla trasparenza del governo. Considerando il fatto che il confine sino-kazako è lungo 1,782.75 km e visti i costanti e intensi scambi tra le due nazioni, è difficile credere che il virus sia arrivato così tardi all’interno del Paese, per di più dall’Europa. È importante tenere conto che in passato la sinofobia era molto presente in Kazakhstan e ancora oggi non è stata del tutto eliminata e le recenti tensioni etniche ce ne danno la prova. In un contesto del genere, affermare che il virus è arrivato dalla Germania anziché dalla Cina, sembra più una decisione politica presa a tavolino.
Un dettaglio di non poco conto è stata la decisione di annullare subito la parata militare del 9 maggio, il Giorno della Vittoria. Si tratta infatti di una delle feste nazionali più sentite ed è stata annullata verso metà marzo, questo nonostante il fatto che, all’epoca, lo stato di emergenza fosse stato dichiarato soltanto fino al 15 aprile. Ci sono varie opzioni al riguardo. La prima è che la situazione sia ben più grave di quella che viene effettivamente raccontata, la seconda è che il governo ne abbia approfittato per evitare un’importante occasione d’aggregazione. Negli ultimi anni le proteste sono in continua crescita all’interno del Paese e la censura è ancora molto forte e proprio lo scorso 9 maggio la rete è stata bloccata e chiusa per diverse ore. Forse un’opzione non esclude l’altra, o magari si è trattato semplicemente di lungimiranza e prevenzione da parte delle istituzioni. Sicuramente, visti i precedenti, quest’ultima alternativa sembra la meno probabile.
Uzbekistan
È stato inserito tra i Paesi “ritardatari” nell’adozione di misure di prevenzione efficaci; dal momento in cui sono state attuate, però, i controlli sono stati molto serrati. Fin dall’inizio, l’emergenza ha rappresentato una sfida per quel che riguarda le libertà civili. La presenza delle forze armate è stata incrementata e c’è un intenso controllo su quello che viene detto e pubblicato; chi diffonde informazioni che possono essere definite false dal governo rischia di essere multato e/o imprigionato. Sempre per prevenire la diffusione di fake-news, alle persone risultate positive al test e a quelle che rischiano di averlo contratto vengono sequestrati telefoni, carte bancarie e qualsiasi altro mezzo di comunicazione in loro possesso.
Da quando è stato eletto presidente nel 2016, Mirziyoyev si è differenziato molto dal suo predecessore Islom Karimov, famoso per i suoi metodi repressivi. Anche in una situazione d’emergenza come questa, che ricorda i tempi non molto lontani del vecchio regime, ci sono state delle piccole aperture. È stato creato un canale Telegram ufficiale dedicato al coronavirus, che viene costantemente aggiornato e che ha già oltre un milione d’iscritti. Verrà inoltre garantito il libero accesso a Internet per due mesi anche a chi non sarà in grado di pagare gli abbonamenti.
Va sottolineato il fatto che Mirziyoyev è in prima linea nel fornire una risposta unitaria a livello regionale e si sta impegnando anche nel fornire aiuti al vicino Afghanistan, avendo sempre come obiettivo primario la stabilità dell’area.
Kyrgyzstan
Sebbene anche il Kyrgyzstan abbia tardato nell’adottare misure di sicurezza, è sicuramente l’unico Paese che ha ammesso in maniera chiara i propri limiti. Già segnato da molti scontri politici e una forte insoddisfazione interna, Biškek ha dichiarato in maniera esplicita di non essere in grado di far fronte economicamente all’emergenza. Per questo motivo sono in corso diverse trattative sugli aiuti da ricevere; la nazione è anche stata la prima a ricevere il sostegno del Fondo Monetario Internazionale per motivi connessi al Covid-19. Tra i vari aiuti, ricordiamo anche quelli richiesti alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD) e all’Asian Development Bank.
Anche in questo caso sono previste pesanti sanzioni per chi non rispetta le regole e il coronavirus viene usato come scusa per limitare attivismo politico e sociale.
Tajikistan e Turkmenistan
Tajikistan – Ad oggi nessun caso di coronavirus è stato riportato all’interno del Paese. A partire dal 20 marzo i voli internazionali sono stati sospesi; solo le persone provenienti da Paesi a rischio vengono messe in quarantena. Gli eventi, anche se in maniera limitata, si svolgono ancora; si è altresì giocata la Supercoppa di calcio, in attesa dell’avvio del campionato. Non solo, le istituzioni stanno cogliendo l’occasione per evidenziare il fatto che gli standard sanitari e di pulizia sono molto alti in Tajikistan, motivo per cui il virus non sarebbe ancora arrivato. La popolazione sembra invece pensarla diversamente e da diverse settimane acquista grandi quantitativi di beni di prima necessità; anche la presenza di mascherine sembra essere presente ovunque, aree rurali comprese.
Gli effetti economici della pandemia cominciano a farsi sentire. Ricordiamo che nonostante una presenza importante di risorse e una posizione strategica, il Paese risulta essere quello dall’economia più fragile e oltre metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Una forte dipendenza dagli altri Paesi si accompagna alla chiusura dei confini e di molte attività produttive, influendo in maniera molto negativa. Una larga parte dei cittadini, inoltre, lavora all’estero per mandare denaro a casa, e anche questa fonte di entrate è al momento limitata.
Tuttavia, ci sarebbero alcuni casi sospetti e l’assenza di voci indipendenti costringe a misurare attentamente la veridicità delle dichiarazioni ufficiali.
Turkmenistan – Se non nomini un problema, il problema è reale? Secondo le autorità turkmene, a quanto sembra no. Qualche tempo fa si era diffusa la notizia che all’interno del Paese fosse stato vietato di pronunciare la parola “coronavirus”. Questa notizia è stata successivamente smentita dalla stessa fonte da cui aveva avuto origine. In molti l’avevano reputata attendibile per via dell’alto tasso di repressione presente in Turkmenistan e perché è comunque vero che l’argomento viene fortemente limitato da parte delle autorità. Esse stesse lo nominano solo in rare occasioni e per smentirne la presenza.
Ad oggi non ci sono casi accertati (nonostante la vicinanza con l’Iran, uno dei Paesi più colpiti), ma alcuni media riferiscono della presenza di casi già da inizio marzo. E mentre i prezzi salgono alle stelle, lo scorso 7 aprile è stata celebrata ad Ashgabat, la capitale turkmena, una gara ciclistica in occasione della Giornata mondiale della salute.
Mentre il tema delle conseguenze economiche sembra essere prioritario, l’Asia Centrale, con le sue mille contraddizioni, dovrà far fronte anche a un altro tipo d’emergenza: quella sanitaria. Oscurato dai rallentamenti lungo la nuova Via della Seta, la crisi del petrolio e di altre risorse, il sistema sanitario in Asia Centrale non è ancora adeguato a far fronte a un’emergenza del genere. Per di più i mezzi a disposizione sono limitati e spesso inadeguati, come il caso dei tamponi in Kyrgyzstan, attendibili solo fino al 70%. E questa ostinazione nel voler far credere che vada tutto bene e che la situazione sia sotto controllo, limiterà notevolmente gli aiuti. Anche questa volta l’assenza di verità avrà un peso molto forte in Asia Centrale.
Jessica Venturini