La questione energetica dei Paesi Baltici rimane una delle questioni più annose per i progetti di crescita e sviluppo di Estonia, Lettonia e Lituania, nonché per il desiderato affrancamento dalla Russia. Tuttavia, anche nel settore dell’energia il quadro è più complesso della semplificata stretta dipendenza da Mosca, che cela molte delle sfumature che rendono i tre piccoli Stati tre attori con prerogative, vincoli e opportunità energetiche differenti.
Estonia – Piccoli e indipendenti
La più piccola in termini geografici e demografici, l’Estonia ha un mix energetico molto particolare. La principale fonte di energia locale è costituita dallo scisto bituminoso, il cosiddetto oil shale, grande ricchezza del sottosuolo estone. Il Paese, infatti, ospita i maggiori depositi di scisto e fosforiti d’Europa, con riserve accertate stimate sui circa 3,8 miliardi di tonnellate, mentre quelle previste variano tra 6 a 15 miliardi. La combustione di questa roccia sedimentaria sprigiona molta energia, che viene impiegata per produrre calore, elettricità o per raffinare combustibili liquidi, dominando l’approvvigionamento energetico di Tallin.
La stragrande maggioranza delle centrali elettriche estoni operano a scisto bituminoso, il cui principale bacino si trova nel nord-est dell’Estonia, principalmente nella contea di Ida-Viru, al confine con la Russia. Grazie a questa ricchezza, Tallin è attualmente un esportatore netto di elettricità, con un tasso di autosufficienza fino al 110% del picco dei consumi. L’export estone si dirige principalmente verso i vicini baltici (780 MW verso la Lettonia), scandinavi e con la Finlandia, grazie ai cavi sottomarini Estlink ed Estlink-2, da 1.000 MW complessivi.
Grazie a questa risorsa, l’Estonia gode di un alto grado di indipendenza energetica rispetto ai vicini, considerando che circa il 73% della fornitura totale di energia primaria e il 76% della produzione elettrica estone è domestica e proviene dal locale scisto bituminoso. Tuttavia, il largo utilizzo di questo combustibile fossile rende l’energia della piccola Estonia quella con la più alta intensità di emissioni di CO2 (carbon-intensity) tra tutti i Paesi membri dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA).
L’unico legame energetico che lega Tallin a Mosca è quello, classico, del gas naturale, importato principalmente dalla Russia. Nonostante ciò, il gas contribuisce alla produzione energetica estone in modo veramente limitato (7% della fornitura totale di energia primaria; 0,004% della produzione elettrica), lungi dal poter essere considerato oggetto di dipendenza energetica.
Lettonia – La forza dell’acqua e la dipendenza del gas
La Lettonia rappresenta ottimamente una realtà a metà strada tra innovazione, energia verde e dipendenza. Il Paese non è particolarmente ricco di combustibili fossili, se si escludono le riserve di torba (circa 480 milioni di tonnellate). Alcuni geologi suggeriscono la presenza di piccoli giacimenti petroliferi nelle acque territoriali della Lettonia nel Baltico, ma nessun piano di esplorazione è stato finora sviluppato.
La natura, tuttavia, corre in aiuto di Riga grazie alle numerose risorse idriche presenti nel Paese, che hanno consentito lo sviluppo di una fitta rete di potenti centrali idroelettriche, tra cui quelle di Pļaviņas, Riga e Ķegums. Grazie all’acqua del fiume principale, il Daugava, vengono prodotti circa 3 miliardi kWh all’anno (coprendo quasi il 50% dei consumi elettrici), che attestano l’idroelettrico ai vertici delle fonti di produzione.
Tuttavia, la generazione rimane insufficiente e costringe la Lettonia ad importare largamente elettricità e combustili. Tra questi, il gas naturale rappresenta una risorsa strategica, sia dal punto di visto domestico (il gas insidia il primato dell’idroelettrico locale) che internazionale, essendo importato quasi totalmente dalla Russia. Questo rende Riga ovviamente esposta all’export energetico russo, alimentando una consistente dipendenza che, comunque, la Lettonia sta cercando di allentare.
Grazie ai numerosi investimenti nel settore delle energie rinnovabili e alternative, la Lettonia si è confermata il Paese UE più avanzato in questi settori. Il Piano d’azione nazionale per le energie rinnovabili 2020 mira a una quota del 40% di energia generata da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo e al 53% del consumo di calore e al 60% della domanda di elettricità soddisfatte dalle medesime fonti. Obiettivi ambiziosi, che la Lettonia tenta di perseguire essenzialmente con il suo idroelettrico, nonché con l’energia eolica. Quest’ultimo, settore in crescita, seppur limitata, ha attratto consistenti finanziamenti, circa 250 milioni € mirati alla costruzione del più grande parco eolico del Paese, che produrrebbe 0,7 TWh di energia (10% del totale) e la cui apertura è prevista per il 2022. Fallimentare, invece, è stato il progetto per la realizzazione del sito per l’energia solare Daugavpils, il primo di tutti i Baltici, arenatosi nel 2010 dopo a seguito della crisi economico-finanziaria.
Lituania – Parola d’ordine: importare
La Lituania è, tra i Paesi Baltici, quello con la situazione energetica più compromessa. Dopo la chiusura della centrale nucleare di Ignalina, avvenuta nel 2010 su richiesta dell’UE, come d’accordo dopo l’ingresso del Paese nell’Unione, il bilancio energetico lituano è cambiato radicalmente. Con la cessazione delle attività della sua principale fonte di energia primaria (32% del totale nel 2008), Vilnius ha dovuto fronteggiare un drastico calo generale, con una generazione di energia elettrica più che dimezzata a partire da allora.
Rimanendo così esposta, la Lituania si è subito trovata ad affrontare i rincari imposti da Gazprom nel 2011, un +38% dei prezzi di vendita del gas (il cui import è aumentato con la fine del nucleare lituano) che hanno innalzato i costi del riscaldamento. Nonostante ciò, l’ingresso del gas naturale russo è imprescindibile per Vilnius, come dimostra l’aumento dei consumi nell’ultimo decennio. Nel 2020, la Lituania è diventata il maggiore importatore di GNL russo dell’Europa orientale.
Un possibile tentativo di allentare questo vincolo è costituito dal gasdotto GIPL (Gas Interconnection Poland-Lithuania) attualmente in costruzione. Ampiamente cofinanziato dell’UE, che lo ha riconosciuto come Progetto di Interesse Comune, il piano avrà un costo totale di 558 milioni €, a cui contribuiranno in varie misure tutti i Paesi Baltici. Il completamento della costruzione, previsto per il 2019, è stato posticipato al dicembre 2021. Un altro importante passo in questa direzione è rappresentato dal terminal GNL galleggiante di Klaipeda, completato già nel 2014. Qui la Lituania ha iniziato a ricevere le navi gasiere della norvegese Equinor, che ha così interrotto il monopolio russo fino ad allora in vigore. Pur interrompendo lo strapotere energetico russo nel Paese, l’accordo non è particolarmente vantaggioso per Vilnius: il gas norvegese è molto più costoso di quello russo e gli accordi sulle quote hanno reso complessivamente il GNL ricevuto al terminal il 33% più caro di quello proveniente dai gasdotti russi.
Le diatribe del gas sono comunque secondarie alla principale risorsa alla base della produzione energetica in Lituania, il petrolio, meno rilevante negli altri Baltici. Il Baltic Pipeline System, l’oleodotto russo raddoppiato da Transneft nel 2012, trasporta 50 milioni di tonnellate annui di greggio in Lituania, dove poi si snoda verso la Lettonia. Questo anche perché Vilnius ha ereditato dall’URSS l’unica raffineria della regione, Mazeikiai. Impianto dalla storia post-sovietica tribolata, con la privatizzazione nel 1999 è entrato nelle mire di Lukoil, ma fu ceduto agli americani Williams, poi falliti. Maziekai è oggi gestito dalla società polacca ORLEN, che ha rilevato tutte le quote dai russi di Yukos, che avevano a loro volta sostituito gli americani. La raffineria lavora principalmente il greggio proveniente da Norvegia, Finlandia e, in primis, Russia, restando un riferimento anche per il mercato dei vicini baltici. La dipendenza energetica da Mosca è dunque sostanziale.
Vorrei, ma non posso (?)
Il destino energetico differisce molto tra i tre Stati baltici. Diverse le fonti energetiche principali (oil shale; idroelettrico/gas naturale; petrolio), diversi i consumi e le priorità; in almeno due casi, il fattore comune è la più o meno stringente dipendenza energetica da Mosca. Anche in questo caso sono diverse le ricette per tentare di affrancarsi gradualmente dalle forniture russe, e pur interessate da numerosi progetti europei e regionali, i tre Paesi non sono molto uniti nei loro intenti. L’Estonia resta la più distaccata ed autonoma; la Lettonia, più pragmaticamente, accetterebbe diversi compromessi purché funzionali ai propri interessi; la Lituania è la più vincolata, ma anche quella ideologicamente più orientata e lontana dal dialogo.
L’esempio plastico di queste posizioni è dato dall’attuale discussione sulla centrale nucleare “Bielorussia”, in costruzione ad Ostrovec, sul confine lituano-bielorusso. Con l’entrata in funzione della prima unità prevista per il prossimo autunno, numerose sono le critiche sollevate da Vilnius, che continuamente reclama controlli e veti sull’impianto e sulla sua futura operatività. La Lituania cerca di coinvolgere l’UE, la Polonia e i vicini baltici nel boicottaggio dell’impianto bielorusso, quando invece la Lettonia si è detta interessata ad importare l’energia elettrica prodotta dal nucleare di Minsk, altro potenziale passo avanti per la diversificazione. Lo scontro tra retorica e pragmaticità vede ancora sorridere Mosca.