I tre Paesi Baltici, Estonia, Lettonia e Lituania sono, da sempre e per vicinanza geografica, considerati come una sorta di ‘oasi’ d’Europa. Ma non è una mera ragione geografica ad aver reso i loro processi di indipendenza dall’URSS unici e differenti rispetto a quelli dei Paesi dell’Europa Orientale: vi è una specifica peculiarità.
‘Rivoluzione Cantata’: coniata dall’attivista e artista Heinz Valk dopo le manifestazioni che ebbero luogo durante il Festival della Canzone Estone di Tallinn nel 1988, questa espressione descrive gli eventi che dal 1987 al 1991 hanno portato all’indipendenza dall’URSS dei tre Paesi Baltici, Estonia, Lettonia e Lituania. Sono stati quattro intensi anni in cui i Paesi Baltici hanno raggiunto un importante traguardo politico facendo uso di sole due armi: la non violenza politica e i canti popolari. A ritmo di rock e folk, con i colori delle bandiere dei tre Paesi, con l’energia delle manifestazioni pubbliche e dei discorsi liberi, i sentimenti di patriottismo e democrazia hanno trovato piena espressione o, come recitava un proverbio lettone, ‘con il potere spirituale contro il potere militare‘: una breve frase che al meglio esprime il senso dell’ideologia delle manifestazioni.
Sicuramente, l’impatto che dal 1985 le politiche di Gorbachov, Perestrojka e Glasnost, ebbero in tutti i Paesi sovietici e la concessione a questi ultimi di maggiori libertà politiche, hanno rappresentato la scenografia perfetta per il manifestarsi di sentimenti indipendentisti. Dal febbraio 1987 fu l’Estonia la prima dei Baltici a mostrare la profonda voglia di porre fine a quel processo di russificazione dell’intero Paese portato avanti dal Cremlino fin dal secondo conflitto mondiale: con l’arrivo di circa 400.000 russi in Estonia, Stalin aveva mirato alla disgregazione della cultura estone ed era, in qualche modo, riuscito nell’intento.
Quello che si verificò nei Baltici assunse, tuttavia, connotati fin da subito diversi, non solo per gli inni e i canti nazionali, fin ad allora proibiti dal regime sovietico, che riecheggiavano per tutte le strade di Tallinn (città da cui la rivoluzione ha avuto inizio), ma anche per le immagini di una catena umana che attraversava, oltre ad essa, Riga e Vilnius. Il 23 agosto 1989, infatti, 2 milioni di lettoni, estoni e lituani si presero per mano formando una catena umana lunga 600 Km, uno dei momenti più intensi delle manifestazioni di non violenza. Anche la comunità internazionale presto premiò l’audacia e la passione del popolo baltico riassumendo nell’espressione ‘The Baltic Way‘ la forza che la catena umana rappresentava e che nessun carro armato avrebbe potuto abbattere.
Il messaggio che la catena umana voleva dare arrivò diretto a Mosca: la data scelta per la realizzazione della catena non fu affatto casuale perché, proprio allora, ricorreva il cinquantesimo anniversario del patto Molotov-Ribbentrop con cui Mosca aveva contribuito a definire il destino dell’Europa Orientale. E, dopo esattamente mezzo secolo, proprio i Baltici volevano dare un segno a Mosca di fine del proprio controllo sui Paesi. Due anni dopo, nel 1991, i Paesi Baltici realizzarono gli obiettivi della ‘catena’: la Lituania dichiarò l’indipendenza dall’Unione Sovietica, cui seguì l’Estonia e subito dopo la Lettonia.
Poiché obiettivo politico era l’ottenimento dell’indipendenza, è opportuno o riduttivo attribuire alla rivoluzione una connotazione esclusivamente nazionalista? È chiaro che il sentimento nazionalista e antisovietico è stato il motore della rivoluzione, ma c’è da chiedersi se questo sentimento celasse anche qualcosa di europeista. In altre parole, l’idea del ‘ritorno all’Europa’, è una retorica o rientrava nello specifico nel programma della rivoluzione? Sicuramente, una volta crollati i confini geografici che dal ’45 li hanno visti inglobati all’interno della ‘cortina’ russa, unico desiderio dei Baltici era restaurare lo status antecedente la Seconda Guerra Mondiale, ovvero rientrare a far parte dell’Europa, l’Europa oltre i confini occidentali, ma, questa volta, inclusi gli Stati Uniti. Priorità assoluta era la sicurezza e le istituzioni occidentali, Unione Europea e NATO, rappresentavano sicuramente per i tre Paesi i ‘porti sicuri’ contro la Russia. Perciò, nei primi anni Novanta l’ingresso in queste organizzazioni venne considerato una prova simbolica dell’appartenenza all’Occidente. Per cui la demarcata separazione tra Est ed Ovest non scomparve del tutto dopo il crollo dell’URSS ma il suo confine si spostò più ad Est e la sola che rimaneva separata da tutto il nuovo Occidente era la Russia…
La Lettonia guardava ai Paesi Baltici come cerniera tra Est ed Ovest, quasi come un mediatore che favorisce ed alimenta i contatti tra le due parti. C’è, invece, chi ha visto il movimento di indipendenza dei Paesi Baltici non tanto come ‘un ritorno all’Ovest’, quanto piuttosto come ‘una riscoperta dell’identità’, ovvero del senso di appartenenza ai vecchi europei per la costruzione di un’identità nazionale.
All’inizio degli anni 2000, infatti, il ministro degli esteri lettone riassunse una nuova identità nazionale europeista che stava nascendo nel Paese con 3 R: reform-oriented, reliable, realistic (orientato alle riforme, affidabile, realistico). Aver attuato riforme strutturali e politiche pragmatiche in tutti i settori della vita socio-economica dei Paesi ha garantito una crescita ed uno sviluppo economicitali da renderli tra i Paesi più efficienti nella realizzazione dell’economia di mercato. La modernizzazione e l’innovazione sono stati i due pilastri che hanno consentito lo sviluppo economico e li ha resi un modello per i Paesi della ‘vecchia Europa’. Per cui, se,negli anni immediatamente successivi all’indipendenza, poteva apparire che Estonia, Lettonia e Lituania volessero imitare i Paesi europei, sono arrivati persino a superarli ed il loro miracolo economico è diventata la loro identità nazionale. Infatti, negli ultimi anni, sentimenti euroscettici si sono espressi contro l’economia del libero mercato e a pieno favore del welfare state.
Il forte progresso economico del Baltici ha fatto sì che la vecchia divisione Est/Ovest, che tanto li preoccupava negli anni ’90, venisse superata da una divisione dell’Europa Nord/Sud di cui proprio i Paesi Baltici sono stati gli artefici.’Tigri del Nord’ o ‘Tigri d’Europa’è un’espressione che sottolinea la potenza economica rappresentata da questi Paesi e quanto, molto probabilmente, abbiano sfruttato le istituzioni occidentali, prima fra tutte l’UE per rinvigorire la propria identità nazionale.
O meglio, l’UE e la NATO sono stati fondamentali per garantire sicurezza allo Stato e l’appartenenza all’Occidente e questo conferma quanto precedentemente accennato: la Rivoluzione Cantata è stato un movimento nazionalista per l’indipendenza dei tre Paesi. L’UE è stato un elemento chiave ma considerato all’interno del processo che ha portato all’affermazione dell’identità nazionale perché, solo all’interno dell’UE e con le politiche necessarie, potranno garantirsi che il miracolo economico duri.
Cristiana Ruocco