Lo scorso 4 ottobre nella repubblica centroasiatica si sono svolte le elezioni parlamentari. A queste hanno fatto seguito proteste e scontri, che hanno portato all’annullamento dei risultati e alla liberazione dell’ex-presidente Atambayev. La situazione è incerta e il rischio principale è quello che si crei un vuoto di potere nel Paese, già caratterizzato da una forte instabilità.
Durante le ultime elezioni parlamentari in Kirghizistan, solamente quattro partiti su 16 sono riusciti a superare la soglia di sbarramento del 7%, tutti filo-governativi ad eccezione di Butun Kirghizistan, che ha ottenuto 13 dei 120 seggi a disposizione. Appena sono stati resi noti i primi risultati, i membri dell’opposizione e i loro sostenitori sono scesi in piazza per protestare, denunciando presunte irregolarità. Anche l’Osce ha confermato il fatto che alcuni fattori hanno determinato l’andamento dei risultati, in particolare il voto di scambio. Si tratta di un fenomeno già presente all’interno del Paese, che ha assunto ancora più rilievo a causa della forte crisi economica, accentuata dalla recente pandemia.
Diverse migliaia di persone si sono riunite nella capitale e nella notte tra il 5 e il 6 ottobre alcuni manifestanti si sono introdotti all’interno della “Casa bianca“, sede del Parlamento, distruggendo dei documenti. Ci sono stati diversi scontri con la polizia che ha fatto uso di granate stordenti, cannoni d’acqua, gas lacrimogeni e proiettili di gomme; ad oggi si contano oltre 1000 feriti e un morto. Martedì mattina, inoltre, alcuni dimostranti sono riusciti a liberare l’ex-presidente (ed ex-primo ministro) Almazbek Atambayev, in carcere dal 2019 con un’accusa di corruzione. Nella stessa giornata, la Commissione elettorale centrale ha dichiarato nulli i risultati delle elezioni (che hanno visto un’affluenza del 56,2%), che avevano visto trionfare Birimdik (26%) e Mekenim Kirghizistan (24%).
Il Kirghizistan, spesso definito come la nazione più democratica dell’Asia centrale, non è nuovo a questo genere di disordini. A partire dalla Rivoluzione dei tulipani, avvenuta nel 2005, è difficile parlare di una solida stabilità ai vertici del Paese. Sembrerebbe, inoltre, che le recenti proteste siano state influenzate anche dall’ostilità tra Sooronbay Jeenbekov, Presidente in carica, e Atambayev. Il primo partito a non riconoscere gli esiti delle votazioni, tra l’altro, è stato proprio quello dei Socialdemocratici, il partito di quest’ultimo.
Come molti altri Stati post-sovietici, il Kirghizistan gravita nella sfera d’influenza di Mosca, da cui è fortemente dipendente. Sebbene la base militare russa di Kant sia stata messa in uno stato di massima allerta, la Russia è consapevole del fatto che, a prescindere da come evolveranno gli eventi, il suo potere all’interno del Paese non diminuirà tanto facilmente. È pur vero che al momento è già fortemente impegnata a monitorare la situazione nel Caucaso meridionale e sul fronte bielorusso, quindi la speranza è che i disordini si plachino quanto prima. Il 6 ottobre, Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha auspicato una risoluzione pacifica della crisi kirghisa, con un invito alle forze politiche a collaborare per riportare stabilità e sicurezza all’interno del Paese.
Domenica 11 ottobre, inoltre, si terranno in Tagikistan le elezioni presidenziali, che vedono come favorito Rahmon, presidente in carica dal 1994. Alcuni analisti sostengono che non siano da escludere collegamenti tra repubbliche tanto vicine e hanno parlato del rischio di una «scintilla in una polveriera». Gli Stati dell’Asia centrale stanno ancora cercando di costruire una propria identità e il processo di nation-building non è terminato. È inoltre più probabile che scoppino dei disordini in Paesi più poveri, come appunto il Kirghizistan e il Tagikistan, che non in altri economicamente più stabili.
È importante che la situazione si stabilizzi quanto prima per due motivi principali: la crisi economica e la forte divisione etnica. Stando agli ultimi dati circa il 22.4% delle persone vive al di sotto della soglia di povertà e questo dato potrebbe essere cresciuto a causa del coronavirus. È anche per questo motivo che è stato così facile comprare i voti delle persone. Così come c’è bisogno di una guida che sappia limitare quanto più possibile i conflitti interetnici, in particolare quello tra kirghizi e uzbeki. Anche Melis Myrzakmatov, ex sindaco di Osh (teatro di tremendi scontri), è tornato dalla Turchia e ha dichiarato che questa situazione potrebbe sfociare in una ancora più pericolosa.
Ad oggi Adachan Madumarov, leader di Butun Kirghizistan, è a capo del Consiglio di coordinamento dell’opposizione che comprende 8 partiti: Ata-Meken, Butun, Zamandash, Socialdemocratici del Kirghizistan, Bir Bol, Ordo, Repubblica e Riforma. Il Consiglio ha nominato Omurbek Suvanaliev, ex candidato alle presidenziali del 2011, come vicesegretario del Consiglio di sicurezza del Kirghizistan. Kursan Asanov è invece stato scelto come Ministro dell’interno ad interim. In passato aveva ricoperto la carica di viceministro dell’interno, ma nel 2019 ha dovuto lasciare l’incarico dopo essere stato coinvolto in tre diverse inchieste. Giovedì 8 ottobre ha dichiarato, durante una conferenza stampa, che la situazione socio-politica nel Paese è stabile, ma c’è ancora da essere preoccupati.
I risultati delle elezioni sono stati invalidati, diverse persone che ricoprivano ruoli importanti hanno dato le dimissioni, ma la gente è ancora in strada e continua a protestare. Stando a quanto riportato dalla BBC, Jeenbekov avrebbe dichiarato che «l’obiettivo dei manifestanti non era quello di annullare i risultati delle elezioni, ma di rimuovermi dal potere». Avrebbe altresì affermato di essere pronto a lasciare la responsabilità a leader forti, quello che non è chiaro è a chi si riferisse. Non si sa dove si trovi al momento, ma, se così fosse, non sarebbe il primo presidente ad essere destituito in Kirghizistan, risultato di cicli di instabilità ormai diventati routine per la politica del Paese.