Sebbene la presenza russa in Nord America sia da far risalire al XVIII secolo, il fenomeno delle migrazioni di massa verso gli Stati Uniti è una pagina piuttosto recente della storia della Russia. E, nonostante tutto, essere un russo negli USA non è stata cosa facile, almeno nell’ultimo secolo.
La storia della diaspora russa negli Stati Uniti è piuttosto lunga e, come sarà facile immaginare, costellata di episodi controversi. Conoscere le dinamiche che hanno portato la lingua russa ad essere il settimo idioma maggiormente utilizzato al di là dell’Atlantico, ci consente di comprendere meglio alcuni aspetti del rapporto tra Mosca e Washington. Secondo i dati del governo degli Stati Uniti, il numero di persone di origine russa che abitano nel Paese è pari, oggi, a 2,8 milioni. Di questi, soltanto 392.422 sono nati in Russia. Molti di coloro che vantano tali origini non sono russofoni, in quanto cittadini americani di seconda o terza generazione.
Come accaduto per altre popolazioni giunte in massa negli Stati Uniti, anche l’emigrazione russa si è sviluppata non tanto come un fenomeno continuativo, quanto piuttosto seguendo un moto irregolare caratterizzato da diverse ondate abbastanza definite a livello temporale. Questo nonostante i primi russi fossero giunti in Nord America ben prima che il fenomeno migratorio di massa verso gli Stati Uniti prendesse piede a livello globale. Considerando che l’Alaska è stata una regione dell’Impero Russo fino al 1867, quando il governo di Washington l’acquistò per una cifra pari a 7 milioni $, si può dire che i primi cacciatori di pelli provenienti dalla Russia non avessero nemmeno dovuto lasciare il proprio Paese quando giunsero per la prima volta sul territorio di quelli che oggi sono gli Stati Uniti. Ciò accadde nel corso del XVIII secolo ed il primo insediamento russo nella regione può essere fatto risalire al 1784. Secondo il primo censimento voluto dal governo americano nel 1790, gli abitanti di origine russa nel Paese erano all’incirca 10.000.
I coloni che arrivarono in Alaska portarono ovviamente con sé le proprie tradizioni ed anche la propria fede. Non a caso, numerosi abitanti delle isole Aleutine ed alcuni eschimesi sono ancora oggi fedeli della Chiesa Ortodossa.
Ad ogni modo, la prima vera ondata migratoria proveniente dalla Russia può essere fatta risalire agli anni compresi tra il 1880 ed il 1910. Le motivazioni alla base della decisione di numerosi sudditi dell’Impero di abbandonare la propria terra natale per dirigersi dall’altra parte del mondo erano molteplici. Da un lato, la vita dei contadini russi alla fine del XIX secolo era tutt’altro che agiata e le ristrettezze economiche erano sicuramente un motivo piuttosto valido per spingere le persone a cercare fortuna altrove. Dall’altro lato, all’interno dell’Impero Russo non era infrequente che gli appartenenti a determinate confessioni religiose fossero perseguitati. Se è noto il trattamento riservato agli ebrei, proprio in quel periodo vittime della barbara pratica dei pogrom, assai meno conosciuta è la persecuzione di cui erano oggetto i Molokan ed i Vecchi Credenti. I membri di queste congregazioni religiose decisero di abbandonare la Russia per cercare miglior fortuna negli Stati Uniti. In alcuni casi, essi furono fortemente incoraggiati ad andarsene proprio dal centro del potere imperiale, come successo, appunto, agli ebrei.
Inoltre, a seguito del fallimento del moto rivoluzionario che attraversò l’Impero Russo nel 1905, ai cosiddetti migranti economici ed a coloro che fuggivano dalle persecuzioni religiose si aggiunsero i migranti “politici”. Si trattava di anarchici e rivoluzionari che cercavano rifugio all’estero per evitare di finire nelle famigerate carceri zariste. Essi contribuirono notevolmente alla pessima fama di cui gli immigrati russi godevano negli Stati Uniti, in quanto sin dal momento del loro arrivo in Nord America ripresero la loro attività politica. Nel 1908 fu fondata l’Unione dei Lavoratori Russi, una delle principali organizzazioni sociali della diaspora russa, la quale diffondeva ideali anarchici sicuramente non apprezzati a Washington.
A questo punto occorre fare una precisazione. Sebbene provenienti dall’Impero Russo, la maggior parte dei migranti giunti negli Stati Uniti in questo periodo non erano russi etnici. Si trattava di Bielorussi, Lituani, Armeni e Polacchi, provenienti dalle terre sotto il dominio di Mosca. Per i loro connazionali di etnia russa era decisamente più difficile abbandonare la propria madrepatria in quanto le autorità avevano vietato loro di andarsene. Soltanto 65.000 russi furono censiti dal governo di Washington nel 1910.
Una caratteristica che li differenziava rispetto ai migranti provenienti da altre regioni del mondo era il fatto che difficilmente i russi affrontavano il lungo viaggio che li separava dagli USA con l’intento di tornare in patria dopo qualche anno di lavoro. Essi giungevano per restare.
La seconda ondata di cui si ha notizia è quella che prese piede negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione dell’Ottobre del 1917. In questo periodo moltissimi appartenenti alla nobiltà russa, aristocratici, ufficiali dell’esercito imperiale e semplici sostenitori dello zar scapparono dal proprio paese per evitare di venire uccisi dai bolscevichi.
Con il passare del tempo, ad essi si aggiunsero numerosi rivoluzionari delusi dagli esiti dell’insurrezione. I moderati o coloro che non erano d’accordo con le modalità di gestione del potere dei bolscevichi abbandonarono la patria del socialismo reale per rifugiarsi in ogni angolo del pianeta, Stati Uniti compresi.
Ciò creò discrete preoccupazioni a Washington, in quanto le fila dei movimenti proletari ed anarchici all’interno del Paese si ingrossarono enormemente grazie all’ imponente afflusso di rivoluzionari. Il “Terrore Rosso” si diffuse in tutti gli Stati Uniti e si temeva per la tenuta del sistema politico, qualora una rivoluzione comunista avesse preso avvio.
Per tali motivazioni, gli immigrati di origine russa, indipendentemente dalla loro appartenenza ideologica, cominciarono a subire discriminazioni che andavano dal licenziamento agli arresti di massa. Il clima di sospetto che si venne a creare nel biennio 1919-20 complicò decisamente la vita dei nuovi arrivati.
È famoso l’episodio che coinvolse 249 immigrati russi, i quali, considerati estremisti radicali dalle autorità statunitensi, furono imbarcati su una nave militare e rispediti in Russia.
Tale clima infernale era a malapena mitigato dalla presenza, tra gli immigrati, di numerosi intellettuali, scienziati, poeti e compositori che riuscirono ad essere apprezzati anche oltreoceano.
A differenza di coloro che erano arrivati negli USA con la prima ondata, gli appartenenti alla seconda non avrebbero voluto rimanere per sempre in America. Essi intendevano tornare alle proprie abitazioni una volta che i bolscevichi fossero stati sconfitti. La storia li costrinse ad adattarsi allo stile di vita americano e molti di coloro che erano fuggiti in seguito alla rivoluzione morirono prima di assistere alla dissoluzione dell’URSS.
La successiva ondata migratoria si ebbe nel periodo compreso tra il 1941 ed il 1950. In questa fase giunsero negli Stati Uniti 550.000 persone, la maggior parte delle quali in fuga dalle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale e dal regime stalinista.
Con la fine delle ostilità, raggiungere gli USA divenne molto più complicato per i cittadini sovietici. Negli anni Sessanta e Settanta, soltanto un numero limitato di dissidenti riuscì a fuggire dall’URSS, in alcuni casi con il beneplacito del Cremlino. A Mosca si riteneva infatti che fosse meglio consentire agli oppositori del regime di abbandonare il Paese piuttosto che incarcerarli incorrendo nel biasimo della comunità internazionale. Parallelamente, le autorità moscovite incoraggiarono l’espatrio dei cittadini sovietici di origini ebraiche. Essi scelsero spesso di stabilirsi negli Stati Uniti e soltanto in seguito alle critiche occidentali rispetto all’invasione russa dell’Afghanistan, Mosca decise di interrompere tale flusso.
L’ultima grande ondata migratoria si ebbe in concomitanza con la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Tra il 1990 ed il 1999 ben 433.000 persone decisero di trasferirsi sul suolo americano e la maggior parte di coloro che intrapresero il lungo viaggio per giungere negli Stati Uniti lo fece per motivi essenzialmente economici. In particolare, numerosi scienziati ed ingegneri erano perfettamente consapevoli delle migliori prospettive di carriera e di guadagno in America e optarono per il trasferimento. Essi hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo economico, scientifico ed informatico degli Stati Uniti portando ad un alleggerimento del clima di sospetto che ancora si respirava nei confronti degli immigrati russi. L’idillio non è però durato a lungo, dal momento in cui le notizie dell’interferenza della Russia nel processo democratico statunitense in vista delle elezioni del 2016 hanno riportato l’orologio indietro di qualche anno.