Essere russi all’estero è, di per sé, un normale attributo comparabile a qualsiasi altra nazionalità fuori dai propri confini. Tuttavia, Mosca sa come porre l’accento su questa caratteristica, utilizzando attentamente prerogative e diritti legati alla cittadinanza come sottili strumenti di soft power, leve d’influenza politica che, a seconda dello scenario, sottendono enormi potenzialità di manovra per il Cremlino.
“Innanzitutto bisogna riconoscere che la scomparsa dell’Unione Sovietica sia stata la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo“. Dal celebre messaggio all’Assemblea federale della Federazione Russa, risalente ormai all’aprile 2005, si possono intravedere numerosi dettagli sulla allora prossima svolta della politica estera russa, successiva alla prima presidenza di Vladimir Putin (2000-2004). Tra i vari aspetti toccati da Putin in quella occasione, le problematiche legate alla cittadinanza, ai diritti e alla tutela dei russi all’estero rivestono un ruolo tutt’altro che secondario. Alla fermezza dell’incipit appena citato, segue una lapidaria e decisa constatazione della realtà: quasi nottetempo, “decine di milioni di nostri concittadini e compatrioti si sono trovati fuori dal territorio russo“. Una tragedia secondo Putin, ma che al contempo porta varie frecce all’arco del Cremlino.
La legge
Il nodo delle cittadinanze, in effetti, rientra nei vettori della strategia estera di Mosca, in particolare nelle direttrici di natura “etnico-culturale“. Con la riscoperta delle proprie potenzialità e del proprio peso geopolitico, la Russia si è riaffermata come impassibile garante della sicurezza dei propri cittadini all’estero, per la cui protezione il Cremlino ritiene legittimamente di poter vagliare ogni possibile soluzione, mantenendo sempre il suo pragmatismo. Sono essenzialmente due le fonti che inquadrano questo vasto e complesso argomento. La prima è la Costituzione della Federazione Russa, che all’Art.61 c.2 recita: “La Federazione Russa garantisce ai suoi cittadini protezione e tutela al di fuori dei suoi confini“.
Ma il pragmatismo delle modalità e delle priorità russe si esplica nella seconda fonte, la Legge federale N99-F3 del 24 maggio 1999 (ultima revisione nel 2013) “Sulla politica statale della Federazione Russa nei confronti dei connazionali all’estero“, che ha il merito di ampliare e chiarire il riferimento costituzionale oltre al consueto riconoscimento dell’operato delle istituzioni diplomatiche, della conformità con le varie leggi nazionali e dei diritti dei propri cittadini. L’art.14 della norma, infatti, riconosce al Presidente della Federazione la prerogativa di delineare le principali direzioni della politica statale in questo ambito, nonché la possibilità di riconsiderare la politica bilaterale tra la Russia e lo Stato straniero responsabile di discriminazioni nei confronti dei suddetti cittadini (Legge federale N99-F3, art.14 c.4).
Fondamentale, infine, il diritto riconosciuto a Mosca di valutare altre misure di protezione consentite dal diritto internazionale qualora gli sforzi delle missioni diplomatiche e degli uffici consolari non raggiungano risultati positivi e di esercitare varie forme di pressione contro i Paesi in cui verranno violati i diritti dei cittadini russi. E tra le “forme di pressione” riconosciute dal diritto internazionale figurano, ricordiamo, tanto le sanzioni economiche quanto gli interventi militari, diretti ed indiretti. La valutazione dell’uso appropriato e proporzionale di queste resta a discrezione di Mosca, la cui interpretazione non si è dimostrata sempre uniforme.
L’azione diretta
In particolari scenari di instabilità, la motivazione ufficiale della tutela dei cittadini russi fuori dai confini nazionali risulta estremamente funzionale, unendo lo scopo deterrente verso terzi (per i quali la presenza di civili russi inibisce notevolmente l’intervento armato spregiudicato) e l’assunzione del ruolo prioritario nella gestione diretta da parte di Mosca della crisi specifica e delle sue dinamiche.
Se guardiamo all’intervento militare o al supporto diretto russo in certi scenari bellici, principalmente legati alle realtà de facto disseminate lungo le sue frontiere, possiamo riscontrare questa giustificazione con diverse sfumature nel Caucaso (Abcasia e Ossezia del Sud) e in Ucraina (Donbass), nonché in Medio Oriente (Siria). Tale strategia ha notevoli risvolti anche sul piano diplomatico e del diritto internazionale. Nel caso specifico dei territori separatisti, Mosca non è nuova nel perseguire una “politica delle cittadinanze” particolarmente inclusiva nei confronti delle popolazioni delle aree autoproclamatesi indipendenti, ampliando notevolmente l’interpretazione della sopracitata “legge sui compatrioti“. In Abcasia e in Ossezia del Sud, ad esempio, gran parte della popolazione ha già acquisito la doppia cittadinanza (70% in Abcasia; 84% in Ossezia del Sud), così come la stessa opportunità è stata recentemente concessa alla popolazione dei territori separatisti di Doneck e Lugansk, velocizzandone l’iter per l’ottenimento dei passaporti della Federazione e agevolandone la “russificazione” burocratica.
Così facendo, gli abitanti di queste zone rientrano sotto la tutela diretta del Cremlino, con annessi diritti e doveri, assicurando un’ulteriore tutela alle fragili entità de facto (già essenzialmente dipendenti da Mosca) e rendendo ancora più complessi gli approcci e le rivendicazioni delle rispettive sovranità territoriali.
Il soft power
Le potenzialità geopolitiche della cittadinanza russa non si materializzano solamente negli scenari bellici, ma anche e soprattutto in contesti pacifici. Sempre secondo la Legge federale N99-F3, il governo della Federazione Russa porta avanti un programma dettagliato, non esclusivamente di misure politiche, legali e diplomatiche, ma economiche, sociali e culturali a sostegno dei propri connazionali all’estero, spesso legate alla lingua, all’istruzione e all’informazione (Art.5).
Non c’è dubbio, quindi, che il Cremlino consideri i propri compatrioti un degno investimento e uno strumento di soft power utile alla politica estera. Proprio l’ultimo emendamento alla legge sui connazionali all’estero, approvato nel 2010, introduceva il vincolo al finanziamento dei compatrioti a seconda dall’attività civile o professionale portata avanti, non solo legata agli aspetti culturali, ma anche al rafforzamento delle relazioni bilaterali di Mosca, implicandone una partecipazione più attiva dal punto di vista politico.
Numerose sono gli enti e le associazioni russe che operano a vari livelli con gli espatriati russi, come: il Consiglio di coordinamento mondiale dei compatrioti russi, nato nel 2007, la coeva fondazione Russkij Mir, progetto congiunto del Ministero degli Affari Esteri e del Ministero dell’Istruzione e della Scienza; Rossotrudničestvo, l’Agenzia federale per gli affari del CSI, dei compatrioti che vivono all’estero e della cooperazione umanitaria internazionale (questo il suo nome esteso), nata per iniziativa presidenziale nel 2008, è l’ente governativo autonomo sotto la giurisdizione del Ministero degli Esteri russo, presente in 81 Paesi con 98 uffici di rappresentanza. Tutte queste organizzazioni, le principali del panorama russo, operano secondo i principi politici sopra elencati, i cui labili confini talvolta conducono ad indagini, accuse di infiltrazioni, spionaggi e altre dinamiche poco chiare nei Paesi ospitanti. Il loro campo di azione è molto ampio e spazia dai finanziamenti a progetti linguistici e culturali (Russkij Mir) a una vasta gamma di iniziative di public diplomacy e di tutela degli interessi dei connazionali.
La centralità dei compatrioti, infine, ritorna anche nella Strategia di sicurezza nazionale russa del 2015 e nel Concetto di politica estera del 2016, che fanno riferimento alla necessità di proteggere i loro diritti e interessi legali, per consentire il loro consolidamento e la conservazione del carattere distinto e peculiare della diaspora russa. La sua inclusione nelle linee guida di politica estera ne conferma la particolare rilevanza, una pedina da poter manovrare sapientemente oltre i confini della Federazione.