Da sempre il vicinato tra Russia e Cina è condizionato da timori e sospetti reciproci. L’ultima partita si gioca in Artico, e coinvolge naturalmente l’America. Seconda puntata de L’Orso Polare, la rubrica artica di Marco Leone. In collaborazione con Osservatorio Artico.
Questa è una storia di timore. Ha radici lontane. Perché il timore della Storia alberga nelle collettività abbastanza antiche da tramandarne le vicissitudini. Questa è la saga dell’Orso e del Dragone. E dei loro figli.
Circa quattrocento anni or sono, l’Orso cercò la sua frontiera ad Est. A metà del diciassettesimo secolo giunse all’estremità delle terre che lambiscono il Pacifico. Qui si imbatté nella stirpe del Dragone. L’Orso aveva da tempo un’esigenza: tediato dalle impraticabili acque gelate, sognava di cacciare in mari caldi. Così cacciò il Dragone dalle coste oltre il 40° parallelo boreale, costringendolo ad uno dei tanti trattati ineguali. Il Dragone non ha mai dimenticato la menomazione subita.
Molti anni dopo, i due si trovarono fianco a fianco schierati nella lotta alla “corruzione morale” del capitalismo capeggiato dall’Aquila del Nuovo Mondo. Il Dragone mal sopportava che l’Orso guidasse le fila del fronte comunista, considerandolo indegno e accusandolo di un revisionista tradimento dell’esportazione della Rivoluzione.
Ad un certo punto, il Dragone provò pure a riprendersi con la forza ciò che il trattato di Aigun del 1858 gli aveva tolto. L’Orso reagì e la cosa finì lì. Ma la luce del sole aveva chiaramente assistito alla fuoriuscita del fiume carsico di rivalità e di diffidenza tra i due. Al ché, i destini di separarono.
La partita tra il Dragone e L’Aquila si spostò sui tavoli di ping pong, poi nella globalizzazione di Hong Kong e, infine, negli algoritmi di Apple e TikTok. Tutto bene finché l’Aquila non decise per il “Pivot To Asia“.
L’Orso, invece, subì un graduale involuzione, un’inaspettata implosione e un decennio di smarrimento in una giungla infestata da voraci parassiti locali, e sorvolata con occhio rapace dall’Aquila. Finché drizzò la schiena, rimpadronendosi del proprio destino. Ma in modo provvisorio, dato che i conti col Dragone non sono (mai) finiti.
Alla fine, il “Grande Balzo in Avanti” il Dragone l’ha compiuto. Grazie a un innovativo capitalismo di Stato, paradossalmente sospinto dai venti del neoliberismo occidentale. Il problema è che ora il Dragone si accinge a balzare fuori dal proprio territorio. E, per via della mole, ogni suo movimento è sovrapercepito dai vicini.
La demografia ha le sue logiche. Anche abbastanza prevedibili. I modelli hanno un orizzonte almeno fino a trent’anni. Una buona generazione. Da chi nasce oggi sai quanti adulti e anziani avrai domani. Cavalieri dell’Apocalisse permettendo.
Il Dragone ha operato un’importante operazione di ingegneria sociale sul gruppo femminile per circa trent’anni (appunto), riducendolo. La politica del “dragoncino unico” ha minato la crescita della popolazione. Sono le dragone a generare: meno femmine, meno figli.
La progenie dell’Orso non se la cava tanto meglio. La situazione si aggrava proprio all’estremo Levante. Qui, la piramide demografica si perde nel deserto di terre troppo vaste per sfuggire alle mire del Dragone dirimpettaio.
E quel che non potrà lo spirito di rivalsa lo realizzerà per inerzia la preponderante mole dell’orda del Dragone, come temeva già cento anni addietro Aleksej Kulakovskij, dalla Jacuzia con timore.
E qui è il paradosso. L’Orso confida di presidiare i territori artici e quelli più estremi con politiche familiari e agendo sullo strumento della dinamica demografica che può sovvertire repentinamente il rapporto tra geografia umana e fisica: le migrazioni. Cioè proprio il fattore che sinizzerà il suo Est.
L’Orso vuole anche sviluppare il suo futuro asiatico. Con risorse russe e capitali, tecnologia e manodopera cinese. Ma sarà disposto a pagarne lo scotto? E con quale moneta? Quella del Dragone?
Marco Leone