Nonostante un inizio promettente, la storia del Kirghizistan ha seguito una traiettoria per larghi tratti imprevedibile, che ha portato il Paese all’ennesimo cambio di regime. Ma quali sono le principali problematiche che affliggono la società civile nel rapporto con le autorità?
Il drammatico susseguirsi degli eventi che portarono alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 consentì alle repubbliche dell’Asia Centrale di procedere lungo la strada dell’indipendenza nazionale e, nella maggior parte dei casi, il processo di nation building fu pacifico. Da questo punto di vista, il Kirghizistan non faceva eccezione e nel corso di tutti gli anni Novanta il Paese sembrò essersi avviato con decisione lungo la strada della democratizzazione. Secondo alcuni attenti osservatori delle dinamiche regionali, il Kirghizistan era addirittura il più promettente tra i paesi dell’Asia Centrale. Diversi analisti arrivarono persino a definirlo un’isola di democrazia. Con il senno di poi, nulla era più lontano dalla verità.
Il piccolo Paese asiatico, infatti, soffriva già allora di quei problemi endemici che ne hanno determinato la traiettoria. Traiettoria che non poteva essere più diversa da quella immaginata inizialmente.
Senza alcuna ombra di dubbio, la piaga che affligge maggiormente il Kirghizistan è la corruzione. Secondo Transparency International il paese si colloca al 126° posto su 180, con un punteggio di 30/100, in base ad un indice in cui il valore 1 corrisponde alla massima corruzione ed il valore 100 all’assenza totale di corruzione.
Tali dati, di per sé non molto gratificanti, diventano ancora più negativamente impressionanti se si considera il fatto che il 24% delle persone intervistate ha ammesso di aver pagato una mazzetta nel corso dei precedenti 12 mesi. La corruzione nel Paese è talmente dilagante da investire qualunque ambito della vita delle persone. Senza un pagamento informale è molto difficile aprire un’attività, ottenere gli allacciamenti di luce e gas, importare oppure esportare prodotti di consumo o persino industriali. Nemmeno l’accesso all’istruzione è esente dal fenomeno della corruzione. Le istituzioni maggiormente colpite da questa terribile piaga sono senza ombra di dubbio quelle politiche e giudiziarie. La classe dirigente di Biškek è finita nell’occhio del ciclone in diverse occasioni, portando la popolazione esasperata a rovesciare il governo almeno tre volte, l’ultima delle quali proprio nel 2020. Senza contare, poi, il diffusissimo nepotismo che permea la pubblica amministrazione anche ai massimi livelli.
Durante il regime di Bakiyev, terminato bruscamente nel 2010 a seguito di un’insurrezione popolare, moltissimi membri della sua famiglia occupavano posizioni di rilievo negli apparati del governo e persino i media della Federazione Russa avevano cominciato a criticare aspramente il Presidente kirghiso. Del resto, il clan Bakiyev si era reso responsabile del furto di centinaia di milioni di dollari, alcuni dei quali provenienti proprio dal Cremlino che, da sempre, insieme ad altri attori internazionali, sostiene la fragile economia del Paese. Per quanto riguarda il sistema giudiziario, invece, esso è considerato l’istituzione maggiormente corrotta del Kirghizistan. Il processo di selezione dei giudici non è meritocratico ed essi non sono in alcun modo indipendenti rispetto alle autorità del governo. Stando ai sondaggi, la popolazione non dimostra alcuna fiducia nei tribunali ed è ampiamente riconosciuto il fatto che i magistrati siano inclini a richiedere pagamenti informali in cambio di una sentenza favorevole.
Anche le forze dell’ordine dimostrano una forte tendenza ad omologarsi al malcostume nazionale, sfruttando le caratteristiche proprie degli organi di polizia per ottenere denaro o favori. Secondo uno studio di Carnegie Endowment, poi, le istituzioni statali sarebbero state profondamente penetrate dalla criminalità organizzata, attiva in particolare nel settore del contrabbando e nel narcotraffico. La collusione tra lo Stato e le strutture criminali avrebbe generato un network in grado di assorbire risorse monetarie da tutte le attività del Paese, per non parlare poi della sparizione dei fondi destinati allo sviluppo economico provenienti dall’estero. Questo immenso ammontare di denaro verrebbe poi trasferito in prestigiosi istituti bancari stranieri (tendenzialmente afferenti al mondo anglosassone) oppure investito per l’acquisto di terreni e la costruzione di ville sfarzose.
I diversi governi che si sono succeduti al potere in Kirghizistan hanno sempre posto la lotta alla corruzione tra gli obiettivi primari e, in effetti, qualche miglioramento è stato riscontrato. Ma le riforme che via via sono state implementate erano più che altro di natura cosmetica, volte essenzialmente ad imbonire l’elettorato. D’altronde, la classe dirigente kirghisa non ha finora avuto alcun incentivo ad introdurre leggi che potessero contrastare efficacemente un fenomeno così radicato e che, soprattutto, le ha consentito di ottenere lauti guadagni.
A livello economico, però, le ripercussioni sono state devastanti. Difficile pensare di investire in un paese in cui è necessario pagare continuamente mazzette per ottenere qualunque tipo di servizio, compresi quelli elementari. Le inefficienze causate da corruzione e nepotismo sono tali da minare lo sviluppo industriale della nazione. Inoltre, a differenza degli altri stati dell’Asia Centrale, il Kirghizistan non è particolarmente ricco di idrocarburi e soffre anche della cronica scarsità di risorse idriche. Tuttavia, prima della pandemia globale di Covid-19, l’economia del paese era cresciuta ad un ritmo medio del 4,5% annuo per tutto il corso dell’ultima decade. Ciò era dovuto alle rimesse dei 500.000 cittadini kirghisi emigrati in Russia, che contribuivano per una quota pari al 30% del Pil, ed a Kumtor, la principale impresa mineraria nazionale, la quale a sua volta contribuiva per un ulteriore 10%.
Inoltre, come detto in precedenza, le più importanti istituzioni finanziarie internazionali ed alcuni Paesi hanno per lungo tempo sostenuto la fragile economia kirghisa.
Con la diffusione del coronavirus, però, tutte le criticità a cui si è fatto riferimento sono venute a galla. A seguito della pandemia, le rimesse provenienti dall’estero sono diminuite del 25%, mentre la disoccupazione è aumentata fino a raggiungere il 21%. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, il Pil del Kirghizistan potrebbe subire una contrazione del 12%. La popolazione ha già cominciato a subire gli effetti devastanti di questa terribile congiuntura economica e ciò potrebbe aver contribuito alle frodi elettorali che si sono registrate nell’ottobre del 2020, soprattutto quelle legate alla compravendita di voti. Frodi che hanno portato all’ennesima sollevazione popolare, costringendo la Commissione Elettorale ad annullare il risultato delle consultazioni e ad indire nuove elezioni. In risposta ai tumulti, Mosca ha congelato gli aiuti, timorosa dell’instabilità dimostrata dal paese che attraversa la terza gravissima crisi politica nel giro di quindici anni.
Se il governo guidato da Sadyr Japarov, uscito vincitore dopo la ripetizione della tornata elettorale, non sarà in grado di guadagnare la fiducia degli investitori stranieri, appare piuttosto difficile pensare che essi allocheranno ulteriori risorse in direzione del Kirghizistan.
Il compito dell’esecutivo pare decisamente complicato considerando che lo stesso Japarov, saldamente arroccato su posizioni nazionaliste, ha fatto della retorica anti-straniera la propria bandiera.
La Cina, dal canto suo, ha acconsentito a congelare il debito kirghiso nei suoi confronti e ciò ha fornito un po’ di ossigeno al Paese, anche se è difficile pensare che la passività verrà cancellata definitivamente.
Infine, tra le problematiche endemiche del Kirghizistan, non si può non menzionare l’instabilità politica. In aggiunta ai tumulti registrati lo scorso ottobre, il Paese era stato attraversato da moti rivoluzionari in altre due occasioni: nel 2005 e nel 2010. Se la Rivoluzione dei Tulipani era stata per larghi tratti non violenta, altrettanto non si può dire degli avvenimenti del 2010. In quell’occasione, i tumulti erano sfociati in un bagno di sangue che aveva visto contrapporsi la minoranza uzbeka e la maggioranza kirghisa.
Una tale frequenza di cambi di regime pilotati dal basso sembrerebbe essere un segnale della vitalità della società civile del Kirghizistan. Del resto, in base ai dati raccolti da Freedom House, il malcontento popolare appare pienamente giustificato. Il paese è infatti classificato come parzialmente libero, con un punteggio di 38/100.
In conclusione, quello che sembrava essere un piccolo miracolo dell’Asia Centrale si è rivelato, invece, non dissimile da altri paesi della regione. La corruzione dilagante, le discutibili performances economiche e la scarsa libertà personale dei cittadini sono problemi di natura endemica, ed hanno contribuito ad affossare momentaneamente il sogno kirghiso. La forte partecipazione popolare alla vita politica del paese, però, è un segnale del fatto che non tutto sia perduto.