Siamo entrati ormai nel quarto anno delle sanzioni economiche europee contro la Russia, a partire da quel Marzo del 2014 in cui tutto ebbe inizio. Ma verso dove stiamo andando? Il 2018 sarà l’anno della svolta? Bruxelles deciderà di interrompere l’applicazione delle sanzioni?
Per rispondere a tutte queste domande ci sono diversi fattori da prendere in considerazione.
Prima di tutto, però, è bene spendere due parole sulla natura delle sanzioni. In generale, possiamo definire le sanzioni come l’interruzione o la minaccia d’interruzione deliberatamente decisa a livello governativo delle relazioni finanziarie o commerciali con il paese colpito. In realtà, questa definizione risulta ormai superata, dal momento che prende in considerazione soltanto attori statali. Oggi, invece, le sanzioni posso essere applicate anche nei confronti di entità non governative e individui. Questa nuova tipologia di misure restrittive prende il nome di smart sanctions (o sanzioni mirate), le quali vengono utilizzate per colpire alcuni individui, élites o settori specifici senza intaccare l’intera economia di un paese. In particolare, l’obiettivo è quello di colpire leader o élites specifici, ritenuti responsabili di un comportamento censurabile, senza avere ripercussioni sulla popolazione civile. In questo senso, le smart sanctions risultano più indicate rispetto alle sanzioni globali, le quali invece hanno un forte impatto sulla popolazione senza influenzare le politiche del destinatario.
Le sanzioni economiche applicate dall’Unione europea alla Russia rientrano nella categoria delle smart sanctions. La loro applicazione prende le mosse dall’invasione e annessione della Crimea da parte della Russia nel febbraio del 2014. A partire da quella data, le istituzioni europee hanno lavorato costantemente sull’applicazione di sanzioni mirate, quali congelamento dei beni e divieti di viaggio. Il 5 settembre dello stesso anno, il Gruppo di contatto trilaterale, composto da rappresentanti dell’OSCE, Russia e Ucraina, sigla l’accordo di Minsk, contenente la clausola del “cessate il fuoco” tra i due Stati. Disattesa questa clausola, il 12 febbraio del 2015 viene concluso un secondo accordo di Minsk, con lo stesso obiettivo di cercare di fermare le ostilità tra i due paesi, con entrata in vigore il 15 febbraio. Il 19 marzo del 2015 il Consiglio europeo decide di far dipendere la durata delle sanzioni dalla piena attuazione degli accordi di Minsk, che doveva avvenire entro il 31 dicembre dello stesso anno. Dal momento che ciò non è avvenuto e che gli accordi di Minsk non sono ancora stati pienamente attuati, il Consiglio ha deciso di prorogare le sanzioni. L’ultima proroga è stata decisa il 21 dicembre 2017 con termine il 31 luglio 2018.
A partire dal primo agosto cosa succederà? Saremo arrivati al capolinea delle sanzioni europee contro la Russia? Oppure verranno prorogate ulteriormente?
L’Unione europea e la Russia hanno costruito le loro relazioni a partire dall’inizio degli anni ’90, stabilendo diversi obiettivi a lungo termine, come la cooperazione in materia commerciale e dell’energia, e concordando su una serie di valori comuni, come i diritti dell’uomo e lo stato di diritto. Il primo testo adottato tra i due attori che raccoglie questi obiettivi a lungo termine è l’Accordo di partenariato (PCA), concluso nel 1994. A partire da quella data, vi sono state numerose negoziazioni per cercare di rinnovarlo, ma senza mai arrivare a una soluzione condivisa. L’imposizione delle sanzioni economiche da parte dell’Unione europea ha poi congelato definitivamente i rapporti tra le due potenze.
È difficile valutare il reale impatto delle sanzioni europee sulla Russia. Di sicuro, tra il 2014 e il 2015 vi è stata una perdita in termini economici di qualche decina di miliardi di euro. Tuttavia, diversi studi hanno dimostrato che questa perdita non è stata dovuta soltanto alle misure restrittive, ma anche e soprattutto al declino del prezzo del petrolio ed a un’economia in fase di stagnazione. Dopo il 2015, tuttavia, Vladimir Putin ha deciso di rivolgersi verso altri partner commerciali e di aumentare l’autosufficienza del paese, attraverso l’introduzione di leggi a sostegno dell’industria locale. In questo senso, l’Unione europea ha sicuramente perso parte della sua influenza sulla Russia.
D’altra parte, anche l’Unione europea ha subito delle perdite importanti derivanti dalla risposta russa alle misure restrittive. I singoli Stati Membri, in particolare, hanno sofferto soprattutto per il vertiginoso calo di esportazioni di prodotti agricoli. Anche l’Unione europea, comunque, ha iniziato a rivolgersi ad altri partner commerciali per cercare di ridurre al minimo l’impatto sulla propria economia.
Le politiche di entrambi gli attori rendono abbastanza chiaro il “divorzio” che stanno mettendo in atto. Stiamo andando verso un’atomizzazione dei rapporti tra i due, grazie a una diversificazione delle loro relazioni. E nonostante il problema dei rapporti tra l’Unione e la Russia nasca da una profonda differenza dei due sistemi economici, l’applicazione delle sanzioni da parte dell’Unione europea ha completamente congelato l’obbligo, o quanto meno la volontà, di cercare delle soluzioni accettabili a livello politico.
In conclusione, tenendo in considerazione la decisione del Consiglio europeo di far dipendere la durata delle sanzioni dalla piena attuazione degli accordo di Minsk, e constatando l’indebolimento dei rapporti tra i due attori, è difficilmente ipotizzabile un’interruzione della loro applicazione. L’Unione europea non ha un’influenza tale sulla Russia da farle attuare pienamente gli accordi di Minsk, dal momento che l’unico successo raggiunto è stato quello di limitare le scelte tattiche e operazionali possibili per il Cremlino, senza scalfire in alcun modo gli obiettivi strategici della Russia in Ucraina, e d’altro canto la dipendenza delle misure restrittive dal rispetto di questi accordi rendono difficilmente praticabile la loro cessazione nel 2018.