In generale, nei Paesi occidentali, le politiche energetiche degli ultimi anni sono caratterizzate dalla necessità di reagire al cambiamento climatico, includendo nella produzione di energia quote sempre più elevate di fonti rinnovabili. Per quanto riguarda il nostro continente, le politiche su clima ed energia sono trainate dall’Unione europea. Tuttavia, la dipendenza dalle politiche sovra-nazionali limita fortemente la politica italiana su queste tematiche. Le politiche in ambito energetico, dei trasporti e ambientale dovrebbero essere coordinate per il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Protocollo di Kyoto e dal Pacchetto Clima Energia dell’Unione europea, anche se l’Italia fatica a stare al passo.
Innanzitutto, risulta necessario proporre una breve analisi delle fonti a livello internazionale ed europeo a cui l’Italia deve fare riferimento.
Un punto fondamentale è quello relativo alla lotta contro i cambiamenti climatici. La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992, nota anche come Accordi di Rio, punta alla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra sulla base delle ipotesi di riscaldamento globale. Dal momento dell’entrata in vigore della Convenzione nel 1994, le parti si sono incontrate annualmente alle Conferenze delle parti (COP) per analizzare i progressi contro il cambiamento climatico. Nel 1997, durante la COP3, viene redatto il Protocollo di Kyoto che pone degli obiettivi in cifre in un periodo di tempo preciso, dal 2008 al 2012, prorogati poi fino al 2020. Infine, l’Accordo di Parigi del 2015 è stato siglato dalle parti durante la COP21 e prevede la fissazione di obiettivi della riduzione delle emissioni per il post 2020, oltre a mantenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali.
L’Unione europea (UE) è sicuramente l’Organizzazione che più ha a cuore la questione energetica in stretto legame con la lotta contri i cambiamenti climatici. Già nel 1972, l’allora Comunità europea aveva reso un’importante dichiarazione, la cui idea può essere così sintetizzata: lo sviluppo economico non è fine a se stesso, ma è necessaria un’attenzione particolare per la protezione dell’ambiente così da mettere il progresso al servizio degli uomini.
Lo sviluppo economico non è fine a se stesso, ma è necessaria un’attenzione particolare per la protezione dell’ambiente così da mettere il progresso al servizio degli uomini.
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Nel 1993 l’Unione ha approvato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, mentre nel Protocollo di Kyoto l’UE si è impegnata a ridurre l’emissione di gas a effetto serra dell’8% rispetto al 1990. A partire dal 2008 l’UE ha adottato il Pacchetto energia clima per l’applicazione della regola del tre volte venti: ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra (GES) nel settore industriale, del 10% per gli altri settori; migliorare del 20% l’efficienza energetica; il 20% dell’energia UE deve provenire da fonti rinnovabili. Nel 2014, l’Unione ha approvato un nuovo pacchetto energia più ambizioso del precedente.
L’Unione ha inoltre adottato diverse misure concrete: il sistema di scambio di quote d’emissione; la ripartizione dello sforzo supplementare; misure europee per ridurre le emissioni. In questo ambito vi è sicuramente un punto nero per l’Unione: intatti, non si è ancora riusciti ad introdurre una ecotassa europea per le emissioni di CO2 ed il consumo di energia, in linea con la cosiddetta logica del “pollueur payeur“.
L’UE ha messo in piedi una politica proattiva sulla questione ambientale. L’idea è che non può fare da esempio ai Paesi extra UE se lei per prima non rispetta degli standard rigorosi. Inoltre, si tratta comunque di una scelta pragmatica: l’UE è infatti ancora molto dipendente dall’energia fossile che importa dalla Russia: l’idea è quindi quella di iniziare a produrre energia rinnovabile sul suolo europeo per essere più indipendente.
L’Italia, tra problemi di approvvigionamento e opportunità ambientali
L’Italia attualmente ha due questioni strategiche principali da tenere in considerazione: la necessità di ridurre l’impatto ambientale ovvero le emissioni di CO2, così come le emissioni di sostanze nocive per l’organismo umano che inquinano le città, tra cui l’ossido di carbonio; la riduzione della dipendenza italiana dall’approvvigionamento energetico all’estero. Questa questione è rilevante sotto due diversi profili: da un lato, con riferimento alla bilancia estera dei pagamenti, dall’altro per quanto riguarda la dipendenza del nostro sviluppo economico da fornitori esteri non affidabili.
Per quanto riguarda il primo profilo, l’Italia ha effettivamente registrato una riduzione delle emissioni di CO2, anche se questo dato si trova a fare i conti con il calo vertiginoso del PIL nel nostro Paese. L’idea è che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili richiedono un alto investimento iniziale ma hanno poi bassi costi di gestione. Viceversa, gli impianti di produzione di energia da combustibile fossile hanno un basso investimento iniziale ma un costo di gestione molto più elevato. La crisi economica ha fatto registrare una diminuzione della domanda di energia, alla quale si è deciso di rispondere utilizzando gli impianti di energia rinnovabile già costruiti visto che richiedevano dei costi meno elevati di gestione. Una scelta obbligata, quindi, più che un indirizzo politico consapevole.
Per quanto riguarda il secondo punto, invece, l’aumento dell’utilizzo dell’energia rinnovabile, per i motivi appena elencati, ha anche portato ad una leggera diminuzione della dipendenza dell’Italia dall’approvvigionamento di energia all’estero, anche se rimane ancora ad un livello molto elevato e ciò rende l’Italia molto vulnerabile rispetto alle condizioni di fornitura all’estero.
Per quanto riguarda il risparmio energetico, inoltre, l’Italia è ancora molto indietro. Gli eco-bonus hanno permesso davvero pochi interventi di riqualificazione energetica, pari soltanto a circa lo 0,2% sul PIL di investimenti annui. Questo vale sia a livello di interventi sugli edifici che a livello di efficienza energetica dei processi produttivi e dei grandi consumatori di energia.
Due punti neri nelle politiche energetiche italiane riguardano il settore dei trasporti e gli investimenti nella ricerca. Per quanto riguarda il primo, infatti, l’allargamento del settore privato dei trasporti ha ridotto considerevolmente il margine di manovra statale. L’assenza di una politica mirata sui mezzi di trasporto sostenibili (come ad esempio le biciclette) e la riduzione dei servizi di trasporto pubblico hanno azzerato la riduzione di consumo di energia in questo settore. Per quanto riguarda il secondo punto, la ricerca in materia dovrebbe essere spinta al massimo, così da poter sfruttare al meglio le fonti di energia rinnovabili, così legate a cicli di produzione (giorno/notte, estate/inverno). Tuttavia, il taglio netto agli investimenti statali nella ricerca non aiuta a uno sviluppo rapido delle tecnologie necessarie.
I rapporti con Mosca
La cooperazione in ambito energetico tra Italia e Russia costituisce, da più di cinquant’anni, il principale settore di intesa tra i due Paesi. Il primo passo venne infatti compiuto da Eni nel 1960, che si accordò per l’acquisto di petrolio in cambio di merci. Pochi anni dopo, e precisamente nel 1969, la cooperazione venne estesa anche nell’approvvigionamento di gas, con la costruzione del primo gasdotto Trans-Austria.
Prima del 2014, con l’annessione russa della Crimea, la Federazione russa occupava sicuramente un posto di primo piano nello spettro dei fornitori di energia all’Italia, soprattutto per quanto riguarda il gase il petrolio. A controbilanciare l’importanza della Russia nell’approvvigionamento di energia all’Italia è risultata di fondamentale importanza la reciprocità delle relazioni tra i due Paesi. Infatti, le compagnie energetiche italiane decisero di superare la vecchia cooperazione fondata sullo scambio energia-prodotti di consumo e di mettere a disposizione delle compagnie russe le proprie conoscenze tecniche e capacità di investimento. Il momento focale di questa reciproca intesa è caratterizzato dal Memorandum siglato da Eni e Gazprom per la costruzione del gasdotto Blue Stream tra le coste russe e quelle turche sul Mar Nero. Nel 2006, le stesse compagnie siglarono un partenariato strategico, con l’intento di realizzare attività congiunte di esplorazione e produzione di idrocarburi in Russia e nei Paesi terzi, di vendita di prodotti petroliferi fuori dalla Federazione e commercializzazione di gas in Italia e in Europa. D’altra parte, Gazprom si impegnava a garantire i contratti di fornitura a Eni fino al 2035, così da poter commercializzare in Italia, a partire dal 2010, quantitativi sempre più elevati di gas.
Con l’applicazione delle sanzioni UE alla Russia, la situazione è sicuramente cambiata. Anche se formalmente le misure restrittive UE non comprendono il settore energetico, in realtà hanno avuto una forte incidenza tanto a livello diplomatico quanto negli interscambi commerciali. Un punto critico facilmente rilevabile concerne il transito del gas russo su territorio ucraino, il quale rappresenta, per ovvie ragioni, un problema. Per cercare di aggirare questo ostacolo, Mosca è già da tempo alla ricerca di percorsi alternativi, con la costruzione del gasdotto Nord Stream, che collega la Russia alla Germania, e del South Stream, il quale, se fosse stato costruito, avrebbe unito la Federazione russa all’Italia.
L’Italia, d’altra parte, ha cominciato a rivolgersi ad altri partner commerciali per cercare fonti alternative di approvvigionamento energetico, così da essere meno dipendente dalla Russia. In particolare, il più importante progetto in tal senso è costituito dalla costruzione delgasdotto Trans-Adriatic Pipeline, il quale consentirebbe un collegamento tra Italia e Azerbaijan. Inoltre, la scoperta di giacimenti nel Mediterraneo (Supergiant Zohr, Leviathan e Aphrodite) potrebbe contribuire al rafforzamento strategico italiano.
L’Italia verso l’indipendenza energetica?
Quindi, delle relazioni in ambito energetico in forte calo tra la Russia e l’Italia. Un dato che non sorprende, se si tiene in considerazione la brusca frenata nei rapporti tra Paesi UE e Russia in seguito all’applicazione delle sanzioni. Inoltre, fuoriuscendo dai confini del Paese, risulta chiaro che servirebbe una forte crescita in materia energetica e tecnologica. Il tema è quello dell’indipendenza energetica, che permetterebbe all’Italia di non essere più dipendente, nel proprio sviluppo economico, dall’approvvigionamento estero di energia. Un obiettivo che al momento sembra quasi irrealistico, ma a cui l’Italia dovrà mirare.