La Bielorussia che oggi si mobilita è segnata da una profonda recessione economia. A questo dato si affianca l’assenza di un vero e proprio stato di diritto e della mancanza di tutela dei diritti civili e politici. In questo scenario, il contenimento di un’opposizione organizzata è risultato sicuramente difficoltoso. Nonostante questo scenario, alle elezioni dello scorso 9 agosto Lukašėnka sbaraglia la concorrenza, portando a casa la vittoria con l’80% dei voti.
Svetlana Tikhanovskaya, alla guida dell’opposizione, si è rifugiata in Lituania, da dove ha dichiarato di aver raccolto più del 60% dei consensi (tutt’altro risultato, rispetto al 10% dei voti che avrebbe ottenuto secondo i risultati ufficiali), dando quindi il via alle proteste che da quasi un mese muovono il Paese. Amnesty International riporta i dati dei numerosi arresti avvenuti tra i manifestanti e denuncia le misure subite dai carcerati, definendole torture diffuse.
Questo scenario ha generato reazioni in tutto il mondo, ponendo in particolare Unione europea e NATO in netta opposizione a Lukašėnka, ma non manca chi si schiera al suo fianco.
UE e Bielorussia
La Bielorussia rientra tra i Paesi facenti parte del Partenariato orientale europeo, che promuove una cooperazione di tipo rafforzato tra sei Stati extra-Ue e l’Unione stessa. Indipendentemente da questo status, fin dal 2004 sono state applicate dall’Unione europea misure restrittive nei confronti di quattro cittadini bielorussi, connessi alla sparizione irrisolta di due politici dell’opposizione.
In seguito alle elezioni dello scorso 9 agosto, il Consiglio europeo ha tenuto una videoconferenza, concludendo che l’Unione europea non riconosce i risultati delle elezioni presentati dalle autorità bielorusse. Il Consiglio ha inoltre convenuto di imporre sanzioni nei confronti delle persone ritenute responsabili di violenze e frode elettorale.
I Ministri degli esteri Ue, giunti alle stesse conclusioni, hanno partecipato ad un vertice a Berlino (Gymnich) il 27 e 28 agosto, nel quale si sono trovati concordi nello stilare una lista di funzionari bielorussi destinatari delle misure restrittive. Tutti gli Stati membri si sono trovati d’accordo all’unanimità nel non imporre, invece, misure restrittive che vadano a colpire la popolazione civile.
L’Unione europea spinge inoltre per l’indizione di nuove elezioni, trasparenti, da svolgersi sotto la supervisione dell’OSCE, in quanto composto non soltanto da membri europei, ma anche da Stati quali USA, Canada, la stessa Bielorussia e Russia. Già prima del meeting di Berlino diversi Paesi europei si sono dichiarati favorevoli all’adozione di misure restrittive nei confronti della Bielorussia: Polonia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania e Danimarca si sono trovati infatti concordi nel definire le elezioni bielorusse come né libere né giuste. Anche Germania e Svezia si sono schierati fin da subito a favore dell’applicazione di sanzioni. Ungheria, Grecia e Austria si sono invece dimostrati più cauti circa la proposta di nuove misure restrittive, ma non si sono comunque opposti alla decisione europea di muovere in quella direzione.
NATO e Bielorussia
Lukašėnka dichiara di essere pronto a difendere l’integrità territoriale del Paese e di aver allertato le forze militari al confine con la Polonia. Ritiene infatti che il blocco NATO stia contribuendo alle proteste all’interno del Paese al fine di rovesciare le autorità. La NATO, d’altra parte, non sembra al momento intenzionata ad attuare un rafforzamento militare nella regione, mantenendo una posizione prettamente difensiva.
Lukašėnka teme soprattutto destabilizzazioni delle frontiere, in particolare, da parte di Polonia e Lituania, ma entrambi i governi smentiscono queste accuse. È comunque la Polonia che fa da protagonista in seno all’Alleanza nordatlantica: il segretario generale Jean Stoltenberg ha infatti avuto lo scorso 18 agosto un lungo dialogo telefonico con il presidente polacco Andrzej Duda. I due hanno precisato che l’intenzione non è quella di intervenire negli affari interni di Minsk, ma ha soltanto l’obiettivo di garantire la sicurezza dei Paesi membri. Stoltenberg e Duda hanno infine convenuto che la NATO deve rimanere vigile per scongiurare ogni possibile aggressione contro i Paesi membri, pensando sicuramente al riposizionamento di truppe che Lukašėnka ha dispiegato verso il confine polacco all’indomani delle insurrezioni.
Tuttavia, i fatti sembrano in controtendenza rispetto alle dichiarazioni polacche soprariportate. Lo scorso 17 agosto, infatti, Duda aveva annunciato che l’asse Polonia-Baltici sarebbe stato pronto a supportare il processo di transizione politica così come richiesto dai manifestanti bielorussi. La Camera bassa del parlamento polacco ha inoltre approvato all’unanimità una risoluzione di condanna contro Lukašėnka, chiedendo l’intervento dell’Unione europea, annunciando l’apertura delle proprie frontiere ai rifugiati bielorussi e un piano d’azione economicamente importante.
Russia, Cina e USA sulla Bielorussia
Fuori dalle istituzioni sopracitate, altri importanti attori rivolgono lo sguardo a Minsk.
Innanzitutto, la Russia, da cui la Bielorussia dipende economicamente e politicamente. Mosca ha riconosciuto fin da subito il risultato delle elezioni, ma ha davvero interesse in un eventuale intervento? In questo caso, infatti, non si tratta di proteste volte a ridefinire i rapporti con la Russia o con l’Occidente, quanto piuttosto di espressione di malcontento nei confronti di Lukašėnka. Inoltre, difficilmente Putin potrebbe trovare per l’affaire Bielorussia lo stesso sostegno che aveva ricevuto per la Crimea nel 2014. Potrebbe forse essere più intelligente sostenere Lukašėnka soltanto a livello diplomatico? O addirittura, guidare una transizione verso un nuovo governo bielorusso più facilmente manipolabile? Mosca mantiene infine, almeno a parole, una linea dura nei confronti dell’Europa e del suo attivismo, accusandola di essere mossa dalla volontà di interferire in Bielorussia.
In secondo luogo, la Cina, la quale ha reiterato il suo appoggio a Lukašėnka, congratulandosi con lui per la vittoria elettorale e riconoscendo quindi fin da subito il risultato del voto. Prima del 2014, la Cina aveva puntato tanto sull’Ucraina. In seguito all’annessione russa della Crimea, tuttavia, Pechino ha dovuto valutare una rotta differente, per spianare la strada verso l’Europa e per controbilanciare il potere russo nell’area. Da qui uno scambio bilaterale Cina-Bielorussia da circa 5 miliardi $ e la motivazione dell’appoggio cinese a Minsk.
Per ultimi, ma non per importanza, gli Stati Uniti. Washington ha un ritrovato interesse per la Bielorussia, concretizzatosi nel reinsediamento di un ambasciatore a Minsk e nella visita del segretario di Stato Mike Pompeo in Bielorussia nello scorso febbraio. Il progetto statunitense potrebbe essere quello di lavorare sul lungo periodo per cercare un distacco quasi indolore tra Bielorussia e Russia, cercando al contempo di limitare l’influenza cinese sul territorio. Ad ogni modo, neanche gli USA riconoscono i risultati delle elezioni dello scorso 9 agosto e sono pronti ad adottare misure restrittive nei confronti dei funzionari che si ritengono responsabili dei brogli elettorali e delle violenze contro i manifestanti.
Nonostante si tratti di uno Stato di soli 207.000 km2 e 9 milioni e mezzo di abitanti, la Bielorussia non poteva non salire al centro delle attenzioni di tutto il mondo. Attenzioni che erano già ben presenti prima delle elezioni del mese scorso, ma che sicuramente sono state evidenziate dagli eventi che stanno attraversando il Paese. Un Paese al confine tra Oriente e Occidente, punto strategico sia per la Russia (per mantenere l’egemonia rimasta almeno in quella parte dell’area ex-Urss), sia per la Cina, (che vede nella Bielorussia una perfetta porta di ingresso per l’Europa), sia infine per Unione europea e Usa, per i quali resta sempre presente l’obiettivo di allontanare politicamente il Paese dall’Oriente.