La chiesa cristiana ortodossa sta vivendo un periodo di profondo mutamento di cui è difficile non accorgersi. Claudia Ditel nel suo ultimo articolo ha infatti posto l’accento sulle forze centrifughe presenti nel territorio dei Balcani e di come in questa regione le opinioni circa l’autocefalia della chiesa ortodossa ucraina siano contrastanti. In questa sede, invece, cercheremo di dare un quadro della situazione circa le reazioni interne in seguito alla sua autonomia e di come religione e politica si stiano intrecciando tra loro in maniera pericolosa.
La questione dell’autocefalia ucraina si trascina da diversi decenni e ha alla base un’idea più generale secondo la quale uno Stato può desiderare di avere una propria chiesa indipendente da ogni altra. Questo desiderio trova fondamento nell’ecclesiologia ortodossa, la quale vede le chiese necessariamente legate ai propri Stati e che considera la sede religiosa in stretta connessione all’importanza civile della città. Ed è qui tuttavia che si pongono dei problemi: fino a che punto religione e politica possono intrecciarsi? E ancora, che cosa sta succedendo all’interno del territorio ucraino?
Intanto, è giusto fare un accenno alla situazione dei legami tra la neo-autocefala chiesa ucraina e le altre chiese ortodosse: diverse infatti si sono professate fin da subito contrarie all’indipendenza ucraina. Innanzitutto, Mosca, la quale è assolutamente sfavorevole a questo cambiamento. La chiesa russa ha infatti rotto unilateralmente la comunione eucaristica con la chiesa di Kiev, proibendo quindi ai propri fedeli di partecipare alle celebrazioni eucaristiche presso le chiese di giurisdizione del Patriarcato ecumenico.
Non è solo Mosca, tuttavia, ad aver assunto un atteggiamento contrario all’autonomia di Kiev. Anche il patriarca della chiesa serba, Ireneo, si è dichiarato timoroso al riguardo, così come anche il metropolita della chiesa bielorussa Pavel, entrambi preoccupati per il pericolo di nuovi conflitti e per la possibilità di una scissione definitiva all’interno del mondo ortodosso. Polonia, Cecoslovacchia e Serbia si sono pure schierate contro la chiesa ucraina, insieme alla chiesa di Antiochia, storicamente molto vicina a Mosca, dalla quale ha sempre ricevuto una protezione tanto politica quanto ecclesiale.
Tuttavia, anche a livello interno si registrano recenti tensioni. Infatti, i vertici della chiesa ortodossa d’Ucraina si sono incontrati lo scorso 24 maggio nel primo Santo Sinodo per cercare di risolvere le recenti discordie tra Filaret Denisenko, storico patriarca della chiesa del Patriarcato di Kiev, ed Epifanij Dumenko, a capo della nuova chiesa autocefala. Dopo mesi di silenzio, infatti, Filaret si è espresso preoccupato circa l’influenza di Costantinopoli sulla nuova chiesa e dubbioso sul tomos dell’autocefalia. Questa posizione di Filaret scaturisce dalle scorse elezioni presidenziali del 31 marzo, quando è diventato chiaro che Petro Porošenko non sarebbe stato rieletto, mandando così in fumo gli accordi tra i due circa il potere ecclesiastico di Filaret sulla chiesa ucraina. La promessa di un suo ruolo cruciale nella nuova chiesa autocefala da parte dell’ex presidente ucraino non si è infatti potuta mantenere. Denisenko si dice molto deluso dal mancato mantenimento di questo accordo verbale, che lo avrebbe visto a curare gli affari interni della nuova chiesa, mantenendo la carica ufficiosa di Metropolita di tutte le chiese ucraine.
Se Petro Porošenko ha praticamente incentrato la sua campagna elettorale sull’indipendenza religiosa, al contrario Volodymyr Zelenskij non si è sbilanciato in materia. Il neoeletto presidente, infatti, con un profilo decisamente più laico del suo predecessore, non sembra volersi intromettere negli affari della chiesa. Ad ogni modo, i membri presenti al Sinodo hanno ribadito lo scioglimento del Patriarcato di Kiev e hanno augurato buona fortuna alla nuova chiesa.
Quel che è certo è che l’autocefalia della chiesa ucraina vuole essere un forte segnale di distacco da Mosca, sia in seguito all’annessione russa della Crimea, sia in contrapposizione all’idea di un Русский мир (mondo russo) e all’adesione invece all’idea di un “Paese unificato ed una chiesa unita“. Infatti, in seguito alla firma del tomos, in Ucraina il gruppo militante di estrema destra Pravij Sektor ha sollecitato i cittadini ad abbandonare la chiesa russa e a recarsi nelle chiese ucraine per dare nuova vita all’identità nazionale. I sacerdoti della chiesa russa, presenti nel territorio ucraino, si trovano adesso in una situazione di pericolo, tacciati dal Pravij Sektor di essere “nemici dello Stato e della Nazione ucraina“.
Di fatto, la scissione della chiesa ucraina da quella russa non può far altro se non acuire i conflitti già presenti tra Kiev e Mosca, sfociati come è noto nella guerra nel Donbass. Non è che lo scopo di tutto questo sia proprio quello di portare ad una guerra sempre più aspra tra Russia e Ucraina, con conseguenze imprevedibili per l’Europa?