La regione balcanica è diventata oggetto d’interesse per diversi attori geopolitici. Come un gioiello prezioso, viene conteso dall’Unione europea, in linea con la sua politica di allargamento, dalla Russia, speranzosa di trovare nuovi (o vecchi) alleati, e dalla Cina, che di certo non si lascia scappare le buone occasioni. Chi ha dato il via alla contesa? O meglio, è l’Unione europea che, spaventata dai suoi avversari, ha ripreso la corsa all’allargamento? O viceversa, sono la Russia e la Cina a voler guadagnare terreno?
La situazione attuale dei Paesi balcanici rispetto all’adesione all’Ue.
Partiamo dallo stato dell’arte. Al momento, Albania, Macedonia del Nord, Serbia e Montenegro hanno acquisito lo status di candidati all’ingresso nell’Ue, mentre Bosnia-Erzegovina e Kosovo quello di potenziali candidati. Fotografia deducibile da quanto annunciato dalla Commissione europea nel 2018 nella Comunicazione rivolta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato europeo economico e sociale e al Comitato delle regioni: “A credible enlargement perspective for and enhanced EU engagement with the Western Balkans”, in seguito a quanto riportato da Jean-Claude Juncker nel discorso dello State of the Union 2017. Ne riproponiamo un estratto: “If we want more stability in our neighbourhood, then we must also maintain a credible enlargement perspective for the Western Balkans. It is clear that there will be no further enlargement during the mandate of this Commission and this Parliament. No candidate is ready. But thereafter the European Union will be greater than 27 in number. Accession candidates must give the rule of law, justice and fundamental rights utmost priority in the negotiations.“.
Quello che emerge dalla Comunicazione sopra citata è senza dubbio la volontà di crescere numericamente. I Paesi balcanici avrebbero in comune con gli Stati già membri dell’Unione europea una serie di valori, tra cui la promozione della democrazia, lo Stato di diritto ed il rispetto dei diritti fondamentali. Sicuramente, questi Paesi per poter entrare a far parte dell’Unione dovranno rispettare i criteri di cui all’articolo 49 TUE, inclusi i Criteri di Copenaghen. In breve: il rispetto dei valori di cui all’articolo 2 TUE, avere istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani e il rispetto delle minoranze, un’economia di mercato in grado di affrontare la competizione interna, l’applicazione efficace degli obblighi derivanti dall’adesione.
Entrando più nel dettaglio, qual è quindi la situazione attuale dei Paesi balcanici circa l’adesione all’Ue?
- Albania: l’Albania ha presentato domanda di adesione nel 2009. A giugno del 2014 le è stato riconosciuto lo status di candidato. Dopo gli ultimi rinvii nel 2018 e nel 2019, c’è possibilità di un’apertura dei negoziati per l’adesione nel 2020.
- Bosnia-Erzegovina: Il Paese ha presentato domanda di adesione nel 2016. Al momento, la Commissione sta elaborando un parere sulla base delle risposte del Paese ad un questionario approfondito.
- Repubblica di Macedonia del Nord: il Paese ha presentato domanda di adesione nel 2004 e ha ricevuto lo status di candidato l’anno successivo. Il procedimento di adesione è rimasto congelato soprattutto per la controversia con la Grecia circa l’utilizzo del nome “Macedonia”, conflitto che si è risolto nel febbraio del 2019 (Accordo di Prespa). Anche per la Macedonia del Nord si spera di procedere nel 2020.
- Kosovo: La futura adesione del Kosovo all’Ue rimane legata alla conclusione di un accordo vincolante con la Serbia sulla normalizzazione delle loro relazioni.
- Montenegro: Il Paese ha presentato domanda di adesione all’Ue nel 2008, gli è stato riconosciuto lo status di candidato nel 2010 e nel 2012 sono iniziati i negoziati per l’adesione. Al momento l’ambizione è quella di integrare questo Paese nell’Unione entro il 2025.
- Serbia: Ha presentato domanda di adesione nel 2009 e nel 2012 le è stato riconosciuto lo status di candidato. Con i negoziati già avviati, anche la Serbia rientra nell’obiettivo del 2025, nonostante i suoi legami con la Russia potrebbero rivelarsi d’impaccio.
Influenze reciproche
Lo scorso 18 ottobre il Consiglio europeo ha discusso l’avvio dei negoziati per l’adesione all’Ue di Albania e Repubblica di Macedonia del Nord: se ne riparlerà nel vertice Ue-Balcani occidentali di maggio 2020 a Zagabria. Il veto sull’apertura dei negoziati con i due Paesi proviene dalla Francia. Il presidente Emmanuel Macron, infatti, ha messo il Consiglio nella condizione di perdere credibilità circa l’impegno dell’Ue nella regione.
Inoltre, la recente firma di un accordo commerciale tra Serbia e Unione economica euroasiatica ha destato altre preoccupazioni in Europa. Nonostante il governo serbo ritenga tale accordo complementare e non di impedimento all’adesione all’Unione europea, i timori sono quelli circa un aumento dell’influenza russa (e anche cinese) nell’area. In particolare, sembra che sia stata proprio l’impasse europea, confermata dal rinvio dei negoziati al 2020, ad aver causato l’intervento di altri attori nella scena balcanica, col compito di risolvere i problemi della regione.
La minaccia di una considerevole e crescente presenza di altre potenze (Cina e Russa) nel territorio balcanico, come vedremo, potrebbe spingere l’Unione europea a premere l’acceleratore per quanto riguarda l’allargamento sul territorio.
L’idea di un’Europa potenzialmente a 33 Paesi fa riemergere la questione del cosiddetto “deepening vs widening”. In altre parole, all’idea di un’Unione europea “elitaria” che procede senza intoppi nel processo di integrazione progressiva, si contrappone quella di un’Unione che invece si estenda fino ai confini naturali del continente europeo, così da formare un blocco territoriale unitario e coeso. A quindici anni dal primo allargamento ad est dell’Unione, non si può non ricordare che tale questione è stata il fulcro del dibattito circa l’adesione nel 2004 e nel 2007 di una serie di Paesi appartenenti principalmente al blocco ex-sovietico.
A cosa è dovuto l’interesse dei diversi attori in gioco per questi Paesi? Sicuramente, per quanto riguarda l’Unione europea, il fatto che i Balcani costituiscano uno spazio politico centrale per la definizione degli equilibri tra oriente e occidente. Per quanto riguarda la Russia, invece, i legami storici con l’area l’hanno spinta ad esercitare una politica estera aggressiva, assertiva contro l’Occidente. Inoltre, la nuova via della seta vedrebbe nei Balcani un territorio fondamentale sia come corridoio centrale di passaggio sia come sbocco sul mare. Oltre alla Russia, quindi, che sicuramente sta cercando di rendere difficoltosa la presenza dell’Ue nella regione, anche la Cina è entrata nei giochi. L’intervento cinese è certamente poco auspicabile, in quanto il rischio di un aumento incontrollato della corruzione, di un abbassamento dello standard delle norme ambientali e del lavoro renderebbe molto più difficoltosa l’eventuale adesione dei Paesi balcanici all’Ue.
Ed è proprio questa minaccia proveniente dalla Cina e dalla Russia la spinta principale, per l’Unione europea, a riprendere la propria politica di allargamento in maniera incisiva. Rispetto al 2004 e al 2007, quindi, avremmo in questo caso non una politica attiva e propositiva dell’Unione, ma piuttosto una sorta di atteggiamento difensivo dalle minacce esterne.
Quel che è certo è che l’instabilità nei Balcani non giova all’Europa. Per questo, quindi, l’Unione punta molto all’integrazione di questi Paesi. Sicuramente, oltre alla volontà geopolitica dell’Ue, conterà molto anche la volontà dei singoli Stati di uniformarsi ai principi comunitari e di intraprendere serie riforme democratiche. L’Ue è sempre stata impegnata nei Balcani sotto diversi aspetti: come investitore, come partner commerciale e anche come donatore. Il 2018, tuttavia, si è rivelato un anno difficile per l’enlargement europeo, dal momento che l’attenzione si è spostata su temi quali la Brexit e l’immigrazione. Si spera in un fine 2019 più proficuo, anche perché altrimenti gli Stati balcanici , alla ricerca di un partner, potrebbero facilmente rivolgersi altrove. Un calo di fiducia nei confronti dell’Unione, infatti, non potrebbe fare altro che agevolare i suoi concorrenti a radicarsi nel territorio e di fatto alle porte dell’Ue.